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“Aspettate qui, ok?!”
“Tranquilla, non ci muoviamo”. Con “Qui”, nello specifico, si intende il vialetto antistante l'uscita secondaria della Sala Joy. Non ci transita molta gente, a quest'ora del mattino. Tutt'al più qualche turista intento ad immortalarsi con lo sfondo della cioccolateria San Ginés. O magari qualche locale. Di quelli che ti scrutano con aria curiosa. E già sai che si fermeranno pochi metri più avanti, a chiedere a qualcuno dei tuoi amici chi mai stiano aspettando seduti lì. Lì per terra, di già. A gambe incrociate. Con un vecchio scatolone usato come unico ostacolo al congelamento del sedere. David Otero, la risposta che avrebbero dato, è di fatto passato poco fa davanti a noi. Aveva il volto vistosamente tirato dall'agitazione, e un cappottino nero su cui tutte concordiamo gli stesse da Dio. L'abbiamo fermato un secondo. Tempo di un saluto veloce. Tempo, soprattutto, di posargli tra le mani un sacchetto più grande del suo contenuto.“Un regalito de parte de las italianas”, gli ho detto sorridendo mentre, con una mano sul mio braccio, lui rispondeva frettoloso “Muchas gracias chicas”. C'era, dentro a quella busta di nylon, un grande pesce ritagliato su cartone blu. I nostri nomi, un augurio di buon viaggio. E accanto, in un involucro più piccolo, una pashmina marrone e nera. Manco a dirlo, c'erano ricamati – pure lì- dei pesci. Un regalo che, di fatto, non sapremo se gli piacerà. El Pescao (perchè chiamarlo col nome d'arte fa più simpatia) mette fine stasera ad un tour durato più di due anni. Dopo di che, se ne andrà a vivere in Argentina. Sta tutta lì, l'atmosfera epica che già percepiamo attorno a noi. E adesso stiamo qui, in questo vialetto. Le compere appena fatte alla fnac già pesano nelle borse, e abbiamo parecchie foto da far scorrere sul display. Stiamo qui. Guardiamo fiduciose la nostra amica spagnola parlare con la ragazza della promozione Risi, fingendo indifferenza di fronte alla sua occhiata curiosa. Sì. Perchè diceva, la nostra amica, che manca parecchia gente tra quella che, come lei, aveva vinto il concorso indetto dallo sponsor. Prometteva che avrebbe chiesto. Che, sì, insomma, non si sa mai. Che magari, mossi da pietà, al soundcheck avrebbero fatto entrare pure noi. E infatti. La pesante porta decorata si è già chiusa sul gruppetto, quando la ragazza si avvicina. “Non possiamo farvi accedere al Meet and Greet, ma verrà la road manager di David per portarvi ad assistere alle prove”. I minuti che seguono ci sembrano più lunghi del normale. Se si è dimenticata? Se non ha capito? Ma alla fine Laura arriva. E, nella penombra di una sala vuota, dicono già tutto i nostri sorrisi. Le note di Tu y Yo. La mia adorata “que no te llamen loco”. La frenesia dei preparativi. L'ex chitarrista de El Canto del Loco si congeda ringraziandoci. “Ci vediamo stasera!”. E in fondo già sappiamo che sarà speciale. Potrebbe forse non esserlo, una giornata iniziata così?
E' anche per questo che non mi stupisco troppo, di un'altra prima fila guadagnata senza sforzi. Nonostante a quei ragazzi seduti sul cartone ci fossimo aggregate solo dopo le quattro. I pochi gradi al di sopra dello zero privavano le gambe di ogni singola energia necessaria alla corsa. Una ragazzina minore di sedici anni aveva rallentato in documenti non validi proprio la mia fila. Eppure, per qualche motivo, se si tratta de El Pescao riesco sempre ad essere immensamente rilassata. E sapete che c'é? Ho scoperto che se sei rilassata riesce meglio qualsiasi cosa. Anche il conseguimento di un obiettivo ormai razionalmente quasi inarrivabile.Perciò è così che lo salutiamo, David. Con le bandiere italiane a coprire i giubbotti, comodamente stesi su una cassa. Con entrambi i gomiti appoggiati al palco. Così vicine da poter leggere la scaletta prima ancora che lo show cominci. E poi chiederci, perplesse, per quale motivo abbia saltato “Me da lo mismo” versione rock. In versione normale, d'altra parte, è stato uno dei momenti più emotivi del concerto. Come sempre, l'ha dedicata ad un suo amico passato a miglior vita. E tra stelle di luci blu, sullo sfumare dell'ultima nota, il batterista gli ha consegnato, a nome della band, un astro del firmamento a cui ha dato il suo nome. Ricordo che a Dani, al “mio”Dani Martín, qualcuno aveva fatto lo stesso dono, all'inizio del tour solista. C'é anche lui, stasera. L'ho visto poco fa, sulla tribuna piú bassa, accanto al terzo componente della band che mi ha cambiato la vita. Indossa una maglietta verde, Chema. E a me viene da sorridere: non si smentisce mai. Oltre a loro, ci sono anche i genitori di Dani. Quelli di David, coi suoi fratelli. E Iñaki García. E Carlos Gamón, che del resto abbiamo giá potuto salutare l'altroieri in quel baretto rock cosí figo. La loro presenza mi dona uno strano senso di famigliaritá. Ma me lo chiedo spesso, cosa pensi Dani. Mi chiedo se ricordi di quella stella. Se mi abbia vista – sí, di certo l'ha fatto, visto il nostro sventolamento di bandiere. Visto che l'unica tizia che decide di svenire, nel corso di tutta la notte, é proprio quella che sta dietro a me. David interrompe il concerto. Le luci mi illuminano. Io mi imbarazzo un po'. Anche la bandiera El Pescao la prende, alla fine. La stende davanti a sé, posando per la mia foto di rito, tra i coriandoli lanciati nell'ultimo bis. Sí, mi ha vista. Deve avermi vista per forza.
Avró pezzi di carta colorata tra i capelli, quando sudata e soddisfatta torneró incontro al gelo di Madrid. In quello stesso vialetto del mattino, solo un po' piú affollato di gente che mi saluta con ardore. Inganno l'attesa sgranocchiando il sacchetto di patatine che ci hanno regalato all'uscita. Non hanno un buon sapore, a dirla tutta. Ma pazienza. E' tanto per fare qualcosa. Tanto per stroncare sul nascere i morsi di quella fame che giá prevedo arriverá tra un po'. Una ragazza bionda, intanto, decanta la nostra bandiera. “Io sono di Saronno”, dice con voce impastata mentre un suo amico ci mette in guardia sul suo tasso alcolico. Ne nasce una conversazione che sarebbe stata interessante. Aveva a che fare con un gruppo musicale, gente che canta in italiano con la band di David, non so bene. In realtá mi spiace anche, “non sapere bene”. Ma se Dani Martín esce proprio in quel momento dalla porta, pretendereste forse che finisca di ascoltare?
Ché io lo so, lo so, che dirlo fa di me una persona sciocca e un po' infantile. Ma quel ragazzo mi ha dato troppo, in questi ultimi due anni, perché potessi davvero accettare di non rivederlo fino al 2014. Cosí mi faccio largo tra la folla, rallentando un po' il passo solo quando varco il limite del suo campo visivo. “Qué tal, Ilaria?”, dice non appena mi vede. Per tutta risposta, senza dire niente, l'abbraccio. Come se fosse l'ultima cosa che ho intenzione di fare. Lui ricambia per qualche secondo, mentre dietro di me le prese in giro delle amiche mi inducono ad arrossire. Visualizzo la scena dall'esterno e...sono una demente, é ufficiale. Una demente proprio. Sento qualcuno dire in spagnolo “beh, ma questa la conosce, non vale”. Allora mi stacco, e poi mi ricompongo dentro un mix di sensazioni. Appena in tempo per avvertire la cacofonia solita di “una foto!” “una foto” “Daniii” “Guapo!” “Una foto”. Lo sento dire qualcosa sul fatto che é ancora preda dei sintomi influenzali. Sovrastare mille voci per affermare che “stasera mi state tutti aumentando l'autostima”. Scatenare risatine. Poi, ancora frastornata, e senza che abbia ancora aperto bocca, mi accorgo che mi ha avvolta con un braccio. Lí per lí non capisco se sia per un gesto d'affetto spontaneo o se stia posando per una foto che non credo di avergli ancora chiesto. Nel dubbio, opto per la seconda e porgo la macchina fotografica a Lisa. Peccato che lui guardi in tutt'altra direzione. Vabbé. Dopo di che, in qualche momento non meglio specificato tra coretti striduli, e non so bene in quale ordine cronologico, succedono altre due cose: 1. Lui mi accarezza dolcemente la guancia e l'orecchio (peraltro rischiando di far precipitare in un tombino uno dei miei bellissimi orecchini presi in Grecia, ma son dettagli) .2. Riesco finalmente a dirgli che anche le ragazze che mi accompagnano sono delle sue fan italiane.
Lui le guarda: “Muchas gracias, chicas, de verdad”. Chiede loro di dargli un bacio. E io, per un momento mi sento all'apice della soddisfazione. Mi passano davanti agli occhi le immagini di quello che accadrá tra un anno. Quando il disco uscirá nel nostro Paese. Quando fará promozione a Roma, o a Milano. E noi saremo lí, in prima fila. A condividere altri momenti belli come o piú di questo. A vivere un altro mio sogno divenuto realtá. Oh, Dio: fa che si siano sbagliati, i Maya!
Non faccio in tempo ad uscire dalla mia nube che le porte della Joy si ri-aprono su Laura. “Se vi mettete in fila vi facciamo entrare a gruppetti per una foto o un autografo”, dice. E poi si scusa. Si scusa mille volte, in realtá.
“Ci vogliono mandare via, perché poi il locale diventa discoteca. Per cui non possiamo lasciare che vi fermiate molto a parlare con David. Ci dispiace, non sapete quanto. 'Sta cosa rompe a tutti noi”.
E io mi chiedo come ci si possa scusare di una cosa cosí. Insomma, permetterci di stare al caldo e riceverci tutti per una foto é giá un gesto che pochi farebbero. Dispiacersi perché il tempo é poco mi suona davvero surreale. Certo che me la scelgo bene, la gente da seguire. Comunque. Entriamo tra le prime. Le quattro italiane tutte assieme. Manca solo Silvia, “sequestrata” dalle sue amiche nel pieno di una festa di compleanno. Peccato non aver potuto stare un po' di piú con lei. “Has podido ver el regalo?”, chiedo a El Pescao dopo che ha nuovamente espresso la sua indignazione. Non che abbia tutti i torti, del resto: gli hanno appena spento la luce per la quarta volta in tre minuti, come chiaro messaggio subliminale del fatto che non lo vogliano lí. “Qué pesados, de verdad!”.
Ad ogni modo, risponde di no. “Ce l'ho lí, ancora nel sacchetto. Oggi é stata una giornata intensissima e non ho avuto tempo.”“Non preoccuparti! Comunque quando lo apri facci sapere se ti piace, eh?”“Por supuesto!”Segue un diluvio di ringraziamenti, flash, e spelling di nomi altrui.
“Devi venire in Italia, eh?”, gli dice Fede. “Magari!”, risponde lui convinto.
Il modo gentile in cui mi sorride accarezzandomi un braccio é il congedo perfetto. “Buon viaggio David!” A conti fatti, pure lui mi mancherá un bel po' davvero.