Prima di passare in rassegna altri film in concorso e vincitori dei Pardi, raccontiamo l’anteprima di un film atteso e decisamente differente dagli altri, appartenente alla serie cappa e spada, tornata in auge con opere quali la Foresta dei Pugnali volanti, Hero e Seven Swords (solo per citarne alcune), in arrivo direttamente dal paese del Sol Levante.
Infine possiamo scoprire e seguire le gesta del samurai senza spada!
Eh già, la particolarità di questo film è proprio il fatto che il nostro eroe porta alla cintola solo il fodero dell’arma che ha gettato via e per aver abbandonato spada e il suo padrone egli corre, corre e corre con al seguito la figlioletta. Il tutto ovviamente in costume (come vuole la tradizione) e con losche figure che gli danno la caccia. Kanjuro Nomi non è infatti un comune ricercato, ma sulla sua testa pende una particolare condanna: quella della c.d. “impresa dei trenta giorni” che prevede egli abbia un mese di tempo, e un solo tentativo giornaliero, per cercare di far tornare il sorriso sul volto inconsolabile del principino. Primi tentativi goffi e rozzi seguiti da un crescendo di performance degne dei migliori artisti circensi, tutto con il supporto della fantasiosa figlioletta e delle due guardie che si appassionano al caso ed alla tenacia di Kanjuro.
Storia che di fatto ruota attorno all’evoluzione del rapporto padre-figlia: inizialmente inesistente e di contrapposizione (soprattutto della piccola nei confronti della codardia del padre), poi di orgoglio, sofferenza e sacrificio ed il cui finale è tutto da scoprire.
Notevole l’espressività e la bravura della giovanissima attrice Sea Kumad, che emerge rispetto al resto del ben più adulto cast; regia invece affidata a Hitoshi Matsumoto, già noto ai frequentatori dei grandi festival proprio per l’originalità con cui narra efficacemente i drammi umani e vero e proprio innovatore della commedia. Così me lo spaccia la sua biografia e pare confermarmi il pubblico presente in sala: per la prima volta, una proiezioni è stata accompagnata da un brusio di sottofondo fatto di risate (più o meno fragorose) , canti e commenti. E poi c’era un soggetto che – celato dall’oscurità che avvolgeva la sala – russava bellamente e la sottoscritta, perennemente infreddolita e per l’ennesima volta perplessa.
A me il film non ha fatto ridere, anzi ho trovato certi personaggi quasi insopportabili, la presunzione e lucidità della bambina addirittura fuori luogo (troppo giovane per articolare pensieri così chiari e profondi) e la storia, nel suo complesso, troppo distante dai miei gusti. E’ stato un interessante confronto con una cultura che incuriosisce sempre di più noi occidentali e che per ora rimane distante dalla mia, nonostante trovi che il cinema di Hong Kong e le recenti produzioni cinesi siano un vero spettacolo e sono orgogliosa di avere molti dei film cappa e spada in mandarino che troneggiano sulle scaffalature di casa. Nessun preconcetto quindi solo la presa d’atto di non essermi per nulla divertita e che la cinematografia giapponese non mi entusiasma.
Opera curiosa, diversa dal solito, ma decisamente da “maneggiare con cura”