Un sapore di ruggine e ossa – recensione

Creato il 13 ottobre 2012 da Wsf

Una donna senza gambe ma piena d’energia, un uomo pieno d’energia ma senza gambe. Una scintilla.

Basterebbe scrivere queste poche parole per racchiudere tutto il senso di Un sapore di ruggine e ossa, il film diretto da Jacques Audiard nelle sale in questi giorni. La pellicola è ispirata dalla raccolta di racconti di Craig Davidson Ruggine e ossa (Rust and bone, edito da Einaudi, collana Stile libero, 2008). Solo ispirata però, Audiard ha dichiarato infatti: «Craig Davidson ha visto la pellicola a Toronto e insieme a lui abbiamo avuto l’impressione di aver creato la novella mancante, anche se in realtà era un adattamento.» (fonte International Business Times)

Una donna che si è persa nelle inquietudini della sua vita. Un uomo che deve ritrovarsi nel gorgo delle inquietudini della sua vita. Un incontro casuale, volgare in sé, come volgare è la maggior parte delle nostre esistenze. Lei perde le gambe in un incidente: un’orca gliele trancia di netto. Lei è un’ammaestratrice di cetacei. Lei rimane sola. Lui deve rimettere in piedi la sua vita. Lui deve badare a suo figlio. Lui deve imparare a stare da solo sulle sue gambe. Lui è come se non sapesse andare dove deve andare. Lui ha le gambe ma non sa usarle. Lei decide di chiamarlo. Lui accetta l’invito a casa di lei. Lui è pieno di energia, di aggressività, di impulso vitale. Lei si lascerà contagiare come solo un essere umano disperato può permettersi di fare. Il sole. La spiaggia. Il mare. Nuotare. Nuotare anche senza gambe. Nuotare perché è la cosa più naturale del mondo. Nuotare perché non si può fare altrimenti. Perché non c’è più nulla da perdere. Lei e lui, una scintilla. L’energia mozzata di lei appoggiata sulle gambe statiche di lui. L’energia statica di lui appoggiata sulle gambe mozzate di lei.

Un regia semplice e diretta. Audiard pare di stare filmando un documentario, una storia reale, semplice e diretta. La fotografia a tratti è essenziale, curata nel dettaglio, frammentata come lo è la nostra percezione delle cose, soprattutto nei momenti di difficoltà; a tratti si arricchisce di particolari rendendo allo spettatore uno scenario complesso e saturo. Col passare dei minuti la trama si scioglie, si dipanano i dubbi, si allentano le angosce. Tutto diventa chiaro per lo spettatore. Restano in secondo piano anche i due protagonisti. A un tratto sembrano sparire dalla scena. Permane una certezza, una certezza certa come la neve. A quel punto devono rendersene conto solo i due protagonisti. Il tutto diventa ansia, terribile e oppressiva, un’ansia che sarà strappata via quasi all’improvviso, come una mano strappa un velo, e sono già i titoli di coda. In fondo come avviene nella vita reale.

Chiappanuvoli


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