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Un sogno - intermezzo

Creato il 08 novembre 2011 da Lafenice
 
  • C'è qualcosa che vorresti dirmi? -
lei si mordicchiò il labbro inferiore, guardandolo velocemente negli occhi: accarezzava una mano con l'altra, mentre cercava di trovare il coraggio per aprire bocca e parlare.Aveva bisogno di aria, aveva bisogno di coraggio.Non sarebbe stato difficile: doveva soltanto permettere alla sua gola di modulare suoni di senso compiuto. Il tutto stava nell'iniziare, il tutto stava in quell'input.L'espressione di lui era sempre più ansiosa: voleva andarsene, e non si preoccupava di nasconderlo agli occhi di lei. Spense la sigaretta con il tacco della scarpa, schiacciandolo con forza contro la terra nuda. Voleva smettere di fumare. Aveva deciso, era convinto, era certo delle sue posizioni. Ma poi lei era arrivata, aveva portato con sé la sua energia, il suo essere così vistosamente sé stessa, la sua capacità di attrarre la sua attenzione come fosse una stupida calamita, e lui un ammasso di ferro senza anima, e lui non aveva potuto resistere al richiamo di “un po' di ossigeno”, la nicotina.Gli occhi della ragazza iniziarono a brillare, pieni di lacrime che cercava di ricacciare dentro, riuscendoci soltanto in parte.o te ne vai ora o non ci riuscirai mai più” si disse il ragazzo, distogliendo lo sguardo da lei.Ma non se ne andò: proprio in quel momento lei aprì le labbra, incantando il giovane come una musa con la sua voce, non più armoniosa come ricordava, ma indurita dalla tristezza.Gli appoggiò una mano sulla guancia ruvida, e, mentre lui socchiudeva gli occhi estasiato dal contatto, lei si lasciava andare al calore che la pelle del ragazzo irradiava.
  • non volevo vedere.. i tuoi occhi facevano male, lo sai? Ogni volta che accarezzavano il mio viso, ogni volta che si insinuavano sotto i miei abiti, ogni volta che penetravano con violenza i miei, mi sentivo morire.. volevo soltanto lasciarmi andare, lasciarmi cullare dalle onde che si infrangono contro la battigia di una spiaggia vuota, volevo sentire l'odore della tua pelle, sperimentare la sua consistenza al tatto, carpirne i segreti, percepirne il sapore sulle mie labbra. Volevo chiudere gli occhi, dimenticare il futuro, vivere nell'eterno istante di un sogno che non poteva finire. -
il ragazzo abbassò lo sguardo, indietreggiando di qualche passo. Non riusciva a pensare, non riusciva a vedere, non poteva far altro che percepire il suo cuore battere a ritmo frenetico, scandendo un tempo che pareva volare.
  • non sarebbe finito – disse lui, scuotendo la testa
  • no, non sarebbe finito, ora lo so – riprese lei, facendo qualche passo verso di lui – non sarebbe finito perché la vita non può finire e quello che io sento per te è vita. Tu vivi nella mia mente, tu vivi nel mio cuore, nelle parole che ti sto dicendo ora. Ho cercato di uccidere lo spettro della tua esistenza, ma non ci riesco. Se non vuoi quello che ho nel cuore, aiutami a distruggerti perché da sola non ci riesco.
fu la superficie umida e fredda di una parete a fermare la ritirata del ragazzo, una maschera di dolore, rabbia e lacrime.
  • hai strappato il mio cuore dal petto, te lo sei portata alle labbra e lo hai disintegrato sotto ai miei occhi – non stava più parlando, ora urlava con disperazione – tu mi hai reso tuo schiavo, mi hai incatenato alla porta del tuo cuore senza lasciarmi mai entrare.. -
La ragazza cadde ai suoi piedi, cercò di afferrarlo, ma lui, troppo veloce, sembrava sfuggirle dalle mani.Il buio regnava sovrano, ad illuminare quell'angolo remoto nel giardino della Tenuta Solitudine c'era soltanto la luna.E per quel poco che lei poteva vedere, non c'era più nessuno al suo fianco.Scorgeva un muro di cinta, non troppo alto, a meno di due metri di distanza da lei. Alla sua destra una panchina di marmo bianco, fredda come il ghiaccio ma liscia come seta. Ci si aggrappò come fosse l'unica sua possibilità di rimanere viva, la cima che la teneva ancorata alla banchina del porto, l'unico contatto con una realtà che pareva sgretolarsi sotto ai suoi occhi.Una realtà che aveva i contorni di una rosa.Proprio come quella che poteva vedere poco più in la, non tanto lontana dal muro, illuminata da un raggio di luce lunare.Si alzò da terra, in un impeto irripetibile di coraggio, abbandonando l'accogliente stabilità del “conosciuto” per spingersi oltre, verso quello che doveva essere, a tutti gli effetti, un miraggio, un antipatico scherzo di una mente ormai stanca.I petali parevano neri, ma qualcosa le diceva che erano rossi, come il sangue, come la vita, come la passione. Erano impreziositi da piccole gocce di rugiada: brillavano come diamanti, la loro luce era così forte che la costrinsero a chiudere gli occhi, affaticati dal lungo pianto ed abituati all'oscurità.In quel momento percepì le sue mani: le sfiorarono le spalle, scendendo poi lentamente per le braccia, per poi stringerla in un abbraccio che sapeva di vita, di pace.
Fu proprio in quel momento che il sole tornò a splendere.

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