Non sognavo mai. O forse, chissà, sognavo e al risveglio non me ne ricordavo. Tra le due, preferivo la seconda: sognare e poi dimenticare; non volevo credere che il mio inconscio fosse privo di pensieri ignoti e inimmaginabili, che non ci fosse niente dietro la mia lucidità. Se la vita da svegli non è altro che un sogno sotto controllo, allora la vita da dormienti dovrebbe essere un sogno sfrenato. E anche se il mio sonno senza sogni era l’unica via di fuga da una mente che girava a mille, la sola occasione di abbandono incondizionato – una salvezza, una valvola che permetteva di sfogare la frenesia accumulata durante la veglia – nonostante questo, mi sarebbe piaciuto fare quei sogni che non si possono controllare; sarebbe stata una scoperta, una sbirciata tra le mie paure e i miei desideri più autentici, un modo di osservarmi senza filtro.
E poi, finalmente, una mattina mi sono svegliata ed avevo in testa un sogno nitido e neutro. E’ stato un sogno di un bianco accecante. Un’auto nera (nera la carrozzeria, neri gli interni, il conducente come un’ombra nera e indistinta) sfilava via su una strada bianca; era notte, eppure, l’illuminazione dei lampioni era talmente fulgida da avvolgere tutto di una luce bianca e innaturale. Ero seduta sul sedile posteriore e guardavo fuori dal finestrino e non sapevo né mi chiedevo dove stessi andando. Non sentivo niente, né caldo né freddo, non udivo alcun rumore, quasi m’avessero sedato. Poi, la macchina si è fermata. Così, in mezzo alla strada, nel bel mezzo del nulla. Si è aperto lo sportello ed è salito L. E’ salito senza dire una parola, per nulla sorpreso di trovarmi lì, o, piuttosto, quasi non si fosse reso conto che io fossi lì. E lo stesso è stato per me, era come se lui fosse uno sconosciuto o come se non mi importasse di lui o che lui fosse lì a dividere quel sedile nero con me.
C’è stato uno stacco. Improvvisamente, ci siamo ritrovati su un elicottero in volo, insieme ad altre persone. Il cielo era ancora bianco e così il mare sotto di noi. Ci siamo lanciati giù, a uno a uno. Anche L si è lanciato. E così io e mi sono ritrovata a nuotare; ero in acqua ma ero asciutta. Qualcuno accanto a me mi ha incitato sbrigarmi – perché quelli erano mari artici e saremmo morti congelati se non ci fossimo affrettati a raggiungere la riva – e mi ha spiegato che eravamo nel bel mezzo di una gara di sopravvivenza. E poi, finalmente, ho raggiunto la riva, emergendo asciutta e per nulla infreddolita dal mare artico. Non ho cercato L. Soltanto, ho individuato un giaciglio, mi sono sdraiata e mi sono addormentata. Mi sono svegliata presumibilmente molti giorni dopo, a gara conclusa. La prima cosa che ho notato è stato un grande tabellone bianco che riportava i punteggi di tutti i partecipanti alla gara. Accanto al mio nome c’era un trattino, a significare che alla gara non avevo neppure preso parte. Ho pensato che L stesse vincendo ma non ho voluto cercare il suo nome sul tabellone.
Il sogno è finito così.
La vita è molto contorta mentre certi sogni sono talmente nitidi da lasciare spiazzati.
Al risveglio, ero tranquilla. Non provavo niente, né rabbia né disprezzo né tristezza; ero distaccata proprio come nel sogno. Ho pensato che, più o meno un anno fa, io e lui ci eravamo conosciuti – in una notte qualsiasi di un anno fa – e, solo pochi giorni dopo, ero certa che presto tutto sarebbe cambiato, che lui mi avrebbe cambiato la vita. O, ripensandoci bene, era stato lui stesso, da impeccabile malipolatore, a farmi credere che me l’avrebbe cambiata. Però, in effetti, così è stato. E, nonostante la mia adorazione si sia trasformata in disprezzo e nonostante i miei fine settimana siano accuratamente pianificati per evitare di incontrarlo, nonostante questo, ecco, mi sembra che lui non se ne andrà mai. A volte, ho come la sensazione che non se ne vada via mai nessuno. Come se la mia anima fosse posseduta da presenze impalpabili e nascoste. Delle presenze soprannaturali che, occasionalmente e inaspettatamente, escono allo scoperto e mi ricordano di loro e di noi e di com’ero e di cosa sono diventata. E, per me, è il vuoto assoluto, seguito da una tristezza abissale – che non inizia e non finisce da nessuna parte. Finché, all’improvviso, non esco da quella trance. E tutto ritorna uguale a prima.