La strada di questa seconda Repubblica, dal 1992-93 fino ai nostri giorni, si può riassumere in poche parole, anzi ne bastano due: suicidio e tradimento.
L’attuale fase, oramai in putrefazione, incominciò con un terremoto istituzionale, alla fine del secolo scorso. Il sisma controllato, che doveva scuotere alcuni e non altri protagonisti della vita politica nazionale, fu alimentato da cariche esterne. Benché l’esplosivo fosse stato preparato al di là dei confini italiani, come raccontano titolati attori di quella stagione, gli esecutori degli attentati, alla stabilità sociale ed economica del Belpaese, furono locali.
Si trattava di far saltare un consunto patto internazionale e di inaugurare un diverso scambio tra le parti in causa, omologato alle mutate gerarchie derivanti dalla dissoluzione dell’impero sovietico.
L’élite formatasi dopo la II guerra mondiale, che crebbe ed espletò le sue funzioni nel mondo bipolare, andava defenestrata e le chiavi dello Stato affidate a quei mezzi parvenu, esclusi dal governo per decenni, i quali dopo un tempestivo rinnegamento delle origini, potevano anelare alle poltrone nei ministeri più importanti. Con la scomparsa del “socialismo irrealizzato” veniva a decadere anche la costante di quella conventio ad excludendum che li aveva tenuti distanti dalla stanza dei bottoni e fuori dalla porta della Nato con i suoi segreti nucleari, benché avessero più volte dichiarato di sentirsi protetti sotto l’ombrello del trattato.
Ai “facilitatori” forestieri del golpe di palazzo bastava la garanzia di una sudditanza su tutto il resto, in primis la cessione a fondo perduto della sovranità nazionale e delle primazie di Stato, per essere riconosciuti quali partner affidabili. Gli abboccamenti tra gli ex peones della perenne opposizione e gli americani venivano da molto lontano, nonostante fossero stati tenuti ben coperti, diciamo, circa, dai tempi dalle segreterie finto-moralistiche degli anni ’70, nonché dai viaggi intercontinentali, sul calare dello stesso periodo, di ambigui miglioristi regali. Tuttavia, fu solo con il tramonto del contraltare sovietico che la cosa poteva prendere finalmente corpo.
I mandanti stranieri vigilavano affinché il piano si concretasse e portasse i suoi frutti alla ragione unipolare. La macchinazione, per loro sfortuna, funzionò parzialmente. Il sistema DC-Psi fu spazzato via dalle indagini giudiziarie ad orologeria che scattarono allorquando l’Amministrazione guida dell’Occidente, vittoriosa nella guerra fredda, decise di rivedere il quadro degli equilibri cinquantennali sui quali si era fondato il fronte dell’ovest.
Per realizzare i suoi disegni doveva però sciogliere alleanze diventate zavorre e far emergere altri gruppi dirigenti, chiamati a gestire i pesanti cambiamenti che avrebbero sconvolto gli stili di vita della popolazione, abituata a ben altri standard di benessere e di assistenza pubblica.
C’era unicamente un’area politica che poteva svolgere quel compito, limitando o annullando gli effetti di una possibile rivolta collettiva, facilmente prevedibile dato il livello di abbassamento delle garanzie economiche e sociali che si cercava di imporre. Nacque così la gioiosa macchina da guerra dei progressisti che però, proprio sul più bello, si andò a schiantare sulle consultazioni elettorali del 1994 e sulla barriera innalzata, all’ultimo istante, da un certo Silvio Berlusconi, con la collaborazione di alcuni settori (soprattutto, apparati di stato fedeli al precedente ordine di poteri) scampati allo tsunami di tangentopoli, i quali fecero convergere l’irriducibile anticomunismo dei ceti medi, spaesati ma alla ricerca di un tetto moderato, sul personale di Forza Italia.
La storia della Penisola, da quell’affronto in poi, è un continuo tentativo di portare a termine quel devastante programma e di far pagare al guastafeste l’impudenza. Quest’ultimo, arrivato in vetta senza alcuna consapevolezza della sorte che gli era toccata, ha improvvisato, temporeggiato e prestato il fianco a qualsiasi provocazione. Si è, persino, immedesimato con i suoi aguzzini, tanto che ancora ieri sperava di essere salvato da chi, da quando è sceso in campo, gli tende trappole e lo mette con le spalle al muro. Tutti gli uomini di cui si è di volta in volta circondato lo hanno tradito, recentemente anche il suo pupillo Alfano (insieme ad altri amici di vecchia data) ha tolto il velo. Chiunque sa che il giovane politico siciliano, con rispetto parlando, non sarebbe in grado di comandare nemmeno in un condominio, figuriamoci se può fondare e dirigere un nuovo centro-destra nato per fare le scarpe al Cavaliere. Ovviamente, mani più abili e potenti muovono i fili sulla testa di Angelino che ha preso il coraggio in affitto ed ha venduto la faccia ad organismi nell’ombra da cui ricava la sua sicumera.
Anziché mettersi a piangere sulle bassezze della natura umana, B. avrebbe dovuto chiedersi qual è la fonte che alimenta le infedeltà del suo entourage e di tutti quelli che gli si avvicinano con doppi fini e tripli giochi. Ma il Cavaliere è così conigliesco che pure dopo la scissione del delfino-roditore annuncia una futura alleanza con lo stesso, per tentare di placare gli Dei oscuri che stanno tramando dietro i vari Schifani, Cicchitto, il medesimo Alfano, etc. Eppure, costui, nonostante errori, ripensamenti, sciocchezze e viltà, risorge di continuo dalle sue ceneri come l’araba fenice. Aspettatevi di vederlo ancora camminare sulle acque elettorali e di moltiplicare i voti perché i meschini che lo osteggiano, eminenze grigie dello sfacelo per proprio misero tornaconto, valgono anche meno di lui e sono incapaci di raggiungere qualsiasi risultato.
Ad ogni modo, gli uni e gli altri, destri, sinistri e centristi, sono i veri responsabili di questo disastro di proporzioni epocali che ha portato l’Italia alla rovina. Purtroppo, all’orizzonte non si scorgono soluzioni, né s’avanzano “eserciti” preparati, con idee efficaci ed obiettivi chiari, in grado di a far piazza pulita di tutto il teatrino politico presente. Abbiamo però una certezza, questo romanzo secondo repubblicano va ricalcando le conclusioni narrate da Mary Shelley nel Frankenstein, o il moderno Prometeo. Finché non perirà il creatore di tutto questo abominio anche il mostro non potrà eclissarsi per sempre: “Non temete che divenga strumento di qualche crimine in futuro. Il mio destino è compiuto. Non occorre né la vostra morte né quella di altri per mettere fine alla mia esistenza e per fare ciò che deve essere fatto. Solo la mia è necessaria. Non crediate che tarderò a compiere il sacrificio. Lascerò la vostra nave e, sulla zattera di ghiaccio che mi ha portato fin qui, punterò all’estremità più settentrionale del globo; costruirò la mia bara funebre e brucerò fino alla cenere questo corpo miserevole, così che i suoi resti non siano di aiuto a qualche altro disgraziato curioso e sacrilego che voglia creare un altro essere come me. Morirò. Non sentirò più le angosce che mi corrodono. Non sarò più preda dell’ansia inquieta che non mi lascia pace e che non si spegne mai. Chi mi ha creato è morto. Quando non ci sarò più, perfino il ricordo di noi due svanirà. Non vedrò più il sole e le stelle, né sentirò il vento scherzare sulle mie gote. Luce, passioni, sensazioni: sparirà tutto. Nel nulla troverò la mia felicità”.
E’ B. che parla ed è l’Italia che trema davanti ai suoi fantasmi.