“Un tetto agli stipendi di Camera e Senato”. Dipendenti in rivolta

di Mario Marrandino - 20 settembre 2014

Di Mario Marrandino. Per alcuni può sembrare un sogno: tagli alla casta? Ma per altri è la verità e scatta la rivolta. A concludere e consegnare il documento in dieci articoli sulla “Ridefinizione delle retribuzioni dei dipendenti”, sono Valeria Fedeli e Marina Sereni.
Si parla di una spending review da 60 milioni per i 1600 della Camera e da 36 milioni per i 799 del Senato, secondo i numeri raccolti da Repubblica, da concludersi entro 2018, a cominciare dal gennaio 2015. Tra Palazzo Madama e Montecitorio si bisbiglia negli atri e nei corridoi, si parla di prepararsi, di organizzarsi, in vista di una vera e propria “battaglia” politica che si gioca in seno alla politica stessa, che passerà soprattutto attraverso una valanga di ricorsi al giudice del lavoro. 
Ecco cosa accadrà: la carica di consigliere avrà un tetto allo stipendio annuo bloccato a 240 mila euro al netto degli oneri contributivi. Successivamente, sempre citando Repubblica, “gli stenografi con 170 mila euro, i documentaristi con 160 mila, i segretari e i coadiutori con 115 mila, i collaboratori tecnici con 106 mila e infine gli assistenti parlamentari, cioè i commessi, che avranno un tetto pari a 99 mila euro. Ci saranno tre scaglioni per i tagli, a seconda di chi supera il tetto del 25 per cento, di chi lo supera tra il 25 e il 40 e di chi va oltre il 40″. 
Al termine di diversi indagini, si è potuto constatare come ben il 40% dei dipendenti in Camera e Senato, sfora, talvolta sfonda, i limiti imposti. Il ruolo del segretario generale verrà ridimensionato nello stipendio ma non nella responsabilità della carica: dai 406 mila euro l’anno ai 240 mila. La politica del ridimensionamento, però, non colpisce solo le “fasce alte”, un assistente col massimo di anzianità, che oggi guadagna circa vicino ai 136 mila euro l’anno, si fermerà a 99 mila.