Un giorno o l'altro qualcuno mi deve spiegare perché c'è questa mania per i gialli, o thriller, o noir, scandinavi. Me lo spiego solo con la stufite per gli americani e i loro sparatori muscolari, e per l'esotismo profondo che rappresentano per noi le ambientazioni nordiche. Non conosco Stieg Larsson perché ho visto i film (belli) e non ho avuto poi voglia di leggere i libri, ma ho letto Henning Mankell, Anne Holt, Camilla Lackberg, e appunto Arnaldur Indridason di cui qui si parla. Che cosa ne penso non lo dico, ma non ne penso niente di che. Di Indridason avevo già letto Un caso archiviato, che non ho neppure recensito perché non mi aveva detto niente, e forse anche Un corpo nel lago, ma non sono sicura. Protagonista dei gialli di Indridason è Erlendur Sveinsson, commissario di polizia che più stropicciato e incasinato a livello personale non si può: divorziato, solitario, non parla con l'ex moglie da vent'anni, un figlio alcolizzato e una figlia drogata, in questo romanzo incinta, ovviamente non si sa di chi. Anche nervoso e neanche tanto in accordo con i suoi collaboratori. La vicenda, e qui tutti i miei preconcetti si sono ravvivati e confermati, gira intorno a argomenti supersfruttati e molto alla moda: violenza sulle donne, genetica, l'immancabile segreto dal passato e tanto per non negarsi nulla, pure una ragazza molestata dal padre fin dall'infanzia. Le indagini vanno avanti sotto una pioggia battente senza grandi sorprese né spreco di azione, diciamo che è facile dimenticare di che cosa si sta parlando ma insomma non viene voglia di mollarlo a metà. Forse la mia delusione è dovuta anche al fatto che ho una grandissima ammirazione per la letteratura islandese, venero Halldór Laxness, ammiro Jón Kalman Stefánsson e parecchi altri che non sto a ricordare. Mi impressiona il numero di grandi scrittori in quel paese, o anche semplicemente di scrittori, in rapporto a quello degli abitanti. Quindi da uno scrittore di thriller islandese, anche tenendo conto dell'ambientazione straordinaria che ha a disposizione, mi aspetto molto molto di più. Indridason ha una scrittura modesta e un'immaginazione poco fascinosa. Si può leggere, beninteso, in un momento di depressione, quando si è in coda e si dispone di un'attenzione limitata, per passare una domenica pomeriggio di pioggia, ma insomma si può anche farne a meno. La cosa bella di Sotto la città è che è tradotto da Silvia Cosimini, eccellente traduttrice di autori assai più prestigiosi, che gli presta comunque una lingua fluida e elegante.
Magazine Cultura
Un thriller scandinavo, anzi islandese: Arnaldur Indridason, Sotto la città
Creato il 13 dicembre 2014 da Consolata @consolanza
Un giorno o l'altro qualcuno mi deve spiegare perché c'è questa mania per i gialli, o thriller, o noir, scandinavi. Me lo spiego solo con la stufite per gli americani e i loro sparatori muscolari, e per l'esotismo profondo che rappresentano per noi le ambientazioni nordiche. Non conosco Stieg Larsson perché ho visto i film (belli) e non ho avuto poi voglia di leggere i libri, ma ho letto Henning Mankell, Anne Holt, Camilla Lackberg, e appunto Arnaldur Indridason di cui qui si parla. Che cosa ne penso non lo dico, ma non ne penso niente di che. Di Indridason avevo già letto Un caso archiviato, che non ho neppure recensito perché non mi aveva detto niente, e forse anche Un corpo nel lago, ma non sono sicura. Protagonista dei gialli di Indridason è Erlendur Sveinsson, commissario di polizia che più stropicciato e incasinato a livello personale non si può: divorziato, solitario, non parla con l'ex moglie da vent'anni, un figlio alcolizzato e una figlia drogata, in questo romanzo incinta, ovviamente non si sa di chi. Anche nervoso e neanche tanto in accordo con i suoi collaboratori. La vicenda, e qui tutti i miei preconcetti si sono ravvivati e confermati, gira intorno a argomenti supersfruttati e molto alla moda: violenza sulle donne, genetica, l'immancabile segreto dal passato e tanto per non negarsi nulla, pure una ragazza molestata dal padre fin dall'infanzia. Le indagini vanno avanti sotto una pioggia battente senza grandi sorprese né spreco di azione, diciamo che è facile dimenticare di che cosa si sta parlando ma insomma non viene voglia di mollarlo a metà. Forse la mia delusione è dovuta anche al fatto che ho una grandissima ammirazione per la letteratura islandese, venero Halldór Laxness, ammiro Jón Kalman Stefánsson e parecchi altri che non sto a ricordare. Mi impressiona il numero di grandi scrittori in quel paese, o anche semplicemente di scrittori, in rapporto a quello degli abitanti. Quindi da uno scrittore di thriller islandese, anche tenendo conto dell'ambientazione straordinaria che ha a disposizione, mi aspetto molto molto di più. Indridason ha una scrittura modesta e un'immaginazione poco fascinosa. Si può leggere, beninteso, in un momento di depressione, quando si è in coda e si dispone di un'attenzione limitata, per passare una domenica pomeriggio di pioggia, ma insomma si può anche farne a meno. La cosa bella di Sotto la città è che è tradotto da Silvia Cosimini, eccellente traduttrice di autori assai più prestigiosi, che gli presta comunque una lingua fluida e elegante.
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