Sono arrivata in India una settimana fa, e per una settimana sono rimasta chiusa nella scuola di yoga a studiare teoria e pratica, ad alzarmi la mattina alle 5.45 e finire la sera alle sette con la cena, e poi a letto. Un’accademia dallo stile militaresco che però mi sta facendo bene, a parte il fatto di avere male dal collo all’ultimo muscolo del piede. Ma questo fa parte del cammino.
Questa sera (sabato), dopo l’ultima lezione di yoga delle sei, io e metà dei partecipanti al corso (quarantadue pazzi) siamo andati a cenare in un ristorante tibetano, qui a Upper Bhagsu, nell’Himalaya.
Ci siamo seduti, e un ex-monaco tibetano che era seduto in fondo al tavolo che abbiamo occupato ha cominciato a parlarmi. Di tutto ciò che abbiamo discusso durante la cena, mi sono rimaste impresse queste parole:
“In occidente – dove ho vissuto – ci sono tre domande inutili che di solito vengono fatte a uno sconosciuto:
1. “Come ti chiami?”
Ti chiami Elizabeth. Ma cosa dice di te il nome che ti hanno dato?Niente.
Oggi mi piace chiamarmi Jinpa. Domani si vedrà.
/
2. “Quanti anni hai?”
Hai quarantadue anni. Ma l’età che hai è quella che senti di avere?
/
3. “Da dove vieni?”
Sei italiana. Ma cosa effettivamente dice di te il fatto che sei nata in Italia? Niente. Hai girato, hai viaggiato, hai vissuto in tanti paesi. Sei così sicura di essere italiana? Quando ti chiedono di dove sei, cosa ti verrebbe invece da rispondere?
Chiedere a un altro da dove viene o quanti anni ha è già volerlo confinare in una scatola. Nella gabbia di dov’è nato.
Oggi se mi chiedi di dove sono, ti rispondo che sono tibetano. Oggi sono tibetano.
Domani, si vedrà.”
Lo scrittore Robin Sharma ha detto:
Ogni persona che incontri ha una storia da dirti e una lezione da insegnarti. La ascolterai?E tu, da dove vieni?
Io, oggi, sono indiana.
Domani, si vedrà.