Crediti immagine: Jason Ralston (CC BY 2.0)
Attualmente uno dei problemi più pregnanti in fisica teorica è l’armonizzazione della teoria della relatività generale, che descrive la gravità applicata alle grandi masse (stelle, pianeti, galassie), con la meccanica quantistica che descrive le altre tre forze fondamentali della natura (elettromagnetica, debole e forte) che agiscono su scala microscopica. Nella relatività generale, l’interazione gravitazionale è vista come una conseguenza della curvatura dello spaziotempo – la struttura quadridimensionale dell’universo – creata dalla presenza di corpi dotati di massa o energia. Mentre la fisica classica prevede che lo spaziotempo sia continuo, secondo alcuni modelli di gravità quantistica (come, ad esempio, la teoria delle stringhe) nel regno dell’infinitamente piccolo (alla scala di Planck, 10-33cm) lo spaziotempo avrebbe una natura discreta, quantizzata. Una struttura di questo tipo implica in generale, ad altissime energie, violazioni della relatività speciale di Einstein, che è parte integrante della relatività generale.
In tale quadro di riferimento teorico è stata avanzata l’idea di considerare lo spaziotempo come un fluido. In questo senso la relatività generale sarebbe l’analogo dell’idrodinamica per i liquidi: questa infatti descrive il comportamento del fluido a livello macroscopico, ma non dice nulla sugli atomi/molecole che lo compongono. Nello stesso modo, secondo alcuni modelli, la relatività generale non direbbe nulla sugli “atomi” che compongono lo spaziotempo, ma descriverebbe la dinamica di quest’ultimo come oggetto intrinsecamente “classico”. Lo spaziotempo sarebbe dunque un fenomeno “emergente” da entità più fondamentali, proprio come l’acqua è ciò che noi percepiamo dell’insieme di molecole di H2O che la costituiscono.
In uno studio appena pubblicato su sulla rivista Physical Review Letters, due ricercatori italiani, Stefano Liberati, professore della Scuola Internazionale Superiore di Studi Avanzati (SISSA) di Trieste, e Luca Maccione, ricercatore dell’Università Ludwig Maximilian di Monaco, usando in maniera innovativa strumenti della fisica delle particelle elementari e dell’astrofisica delle alte energie, hanno descritto gli effetti che si dovrebbero osservare se lo spaziotempo avesse una natura fluida. Liberati e Maccione hanno anche proposto le prime verifiche osservative di questi fenomeni, un elemento importante per discriminare tra i molti modelli di gravità quantistica proposti finora, che risultano al di fuori della portata degli esperimenti di laboratorio.
Nei modelli in cui lo spaziotempo emerge da oggetti più fondamentali, in analogia con i fluidi, sono stati previsti e studiati in passato effetti che implicano modifiche nella propagazione dei fotoni, i quali viaggerebbero a velocità diversa a seconda della loro energia. Ma non basta. “Se si segue l’analogia con i fluidi non ha senso aspettarsi solo questo tipo di modifiche” spiega Liberati. “Se lo spaziotempo è un tipo di fluido, allora bisogna tenere conto anche della sua viscosità e di altri effetti dissipativi, cosa che nessuno aveva mai considerato in dettaglio finora”.
Liberati e Maccione hanno catalogato questi effetti e mostrato che la viscosità tenderebbe a far svanire molto velocemente fotoni e altre particelle nel loro tragitto. “Eppure noi possiamo vedere fotoni provenienti da oggetti astrofisici a milioni di anni luce da noi”, continua Liberati. “Se lo spaziotempo è un fluido, allora, secondo i nostri calcoli, deve trattarsi per forza di un superfluido. Questo significa che il valore della sua viscosità è bassissimo, prossimo allo zero”.
“Abbiamo inoltre previsto altri effetti dissipativi più deboli, che potrebbero essere rilevati con future osservazioni astrofisiche. Se questo accadesse, si tratterebbe di un forte indizio a supporto dei modelli dello spaziotempo emergente”, conclude Liberati. “Con la tecnologia attuale in astrofisica, i tempi sono ormai maturi per portare la gravità quantistica da un piano meramente speculativo a uno più prettamente fenomenologico. Non si può immaginare un momento più interessante per dedicarsi alla gravità”.
Per saperne di più:
- Il preprint dello studio “Astrophysical constraints on Planck scale dissipative phenomena” di Stefano Liberati e Luca Maccione
Fonte: Media INAF | Scritto da Stefano Parisini