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un'ultima intervista prima del mare...

Creato il 18 luglio 2015 da Omar
un'ultima intervista prima del mare...D: Farò attenzione alle parole, cercando di trovare quelle più giuste. Ospitarla qui su Inkblot, è un grandissimo onore per me, lei è uno dei miei idoli. Questo potrà essere un problema, l’intervista perderà “oggettività”, ma poco importa. Per rompere il ghiaccio, userò parole non mie: «In ogni caso, alla fine dell’opera, lo scrittore deve aver provato gli stessi sentimenti di colpa e di terrore dei personaggi. Al libro non gliene frega niente di quello che fa l’autore per scriverlo, ma ai suoi personaggi sì. E sono loro i veri giudici. Questa è la sfida. E la sua riuscita determina il successo finale.» A parlare è uno degli autori che ho scoperto per merito suo e del suo blog, Derek Raymond. Cosa ne pensa? Anche lei ha dovuto indossare i panni di Don Titta Scarciglia (Uomini e Cani), solo per citarne uno.un'ultima intervista prima del mare...R: Credo si possa affermare senza tema di smentita che dietro ogni personaggio di un romanzo si annidi sicuramente una parte del suo autore. Personalmente come scrittore ritengo di essere giunto a completa maturazione nel momento in cui sono riuscito ad abbandonare l’autobiografismo per occuparmi, più semplicemente, delle «storie»: da Uomini e cani in poi - tutti gli scalcagnati lavori precedenti a quello sono, fortunatamente, inediti - i miei romanzi si sono fatti corali, e in ogni libro intreccio le fila di destini di un numero corposo di vite inventate, vite che però in parte mi appartengono, senza dubbio, per cui sì, sicuramente ho provato sentimenti comuni ai miei personaggi, anche se la letteratura, soprattutto quando si attiene ai canoni del genere, ti permette di esagerare, moltiplicare, esasperare la realtà… mi piace pensare che è attraverso questa estremizzazione iperbolica che il vero fulcro delle mie storie venga fuori.un'ultima intervista prima del mare...D: Sarà che nel mio immaginario, lei è un eroe alla Dave Robicheaux, mi chiedo: quanto è noir la sua vita quotidiana?R: Devo purtroppo deluderti e la cosa mi spiace molto: la vita di uno scrittore, di uno bravo intendo (e io faccio una fatica enorme perché anelo ad essere bravo!) è fatta essenzialmente di rituali di affrancamento, di sottrazione; perché sono convinto che la materia stessa dello scrivere maturi nel silenzio e soprattutto nell’ascolto: per cui - in linea di massima - cerco di essere il più invisibile possibile, proprio perché preferisco stare sempre con le orecchie tese, cercando di captare (rubandone il segreto) sensazioni, conversazioni, stati d’animo da chi mi circonda. Chi anela a scrivere da professionista deve trovare il modo di riversare in termini compiuti sulla pagina il grumo di emozioni che lo attorniano quotidianamente. In soldoni, se fossi davvero un Robicheaux a fine giornata avrei voglia solo di stordirmi di alcool per smettere di pensare dopo aver vissuto a cento all’ora ogni oncia di esistenza, invece a me nella vita reale capita l’esatto contrario: la sera non riesco ad andare a letto per colpa dell’addensamento di parole che non ho detto e che mi offusca il cervello, ed è solo con gli strumenti artistici in mio possesso che posso sperare di fare ordine. Intendiamoci, anche l’idea di ordinare il caos del mondo con una penna o una tastiera è una pia illusione, ma quantomeno è un’illusione che ti migliora (perlomeno, tende a migliorarti ecco, poi non è detto che lo faccia!). [continua qui sul blog inkblot.it]

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