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I vicini di casa nell'insieme si possono definire accomodanti: delineano un campionario antropologico che vorrebbe sintetizzare i progressi e i misfatti degli U.S.A. nei primi anni '60, con la guerra fredda e tutte le speranze per il futuro, sono famiglie con i loro codici, con le loro regole e un sorriso sempre pronto a fare della provincia una nazione.
«Per il momento hanno dimenticato i problemi di lavoro. Sono seri e soddisfatti. Anche l'ultimo tra loro è un comproprietario dell'utopia americana, il regno della buona vita in terra - grossolanamente scimmiottato dai russi, odiato dai cinesi, che pure sarebbero dispostissimi a crepare di fame per generazioni nella disperata speranza di assaporarlo anche loro.»
Per parte loro, gli allievi di George sono persone comuni di una realtà multiculturale: non prede di irresistibile vocazione allo studio, certo, ma neanche stupidi. Vivono con freschezza la loro età e la loro etnia (quasi mai di americano puro), si aprono e si adattano al mondo che verrà. Sono senz'altro interlocutori mediocri a lezione, sebbene singolarmente possano rivelare ben più di una sorpresa: Christopher Isherwood ci regala il campionario della prima fila dei banchi e la sensazione è un po' quella di conoscerle, queste persone, con le facce spaesate, dubbiose, con i ghigni anche ironici quando occorre.
L'omosessualità non è un vero problema per l'uomo, ovvero è un problema dei molti che ogni giorno dobbiamo affrontare, ma di sicuro è faccenda che può incuriosirlo e animarlo, non tormentarlo: è il consueto inciampo di una minoranza che ne incontra altre e definisce in negativo una maggioranza che va "aggiornandosi" in modo piuttosto fluido. L'umore di George, perciò, risente semmai della mancanza di Jim da un lato e da improvvisi momenti di fulmineo, luminoso slancio vitale (ivi compresa l'eccitazione che all'improvviso qualche bel ragazzo suscita in lui).
«Io sono vivo, si dice, sono vivo! E si sente tutto linfa, gioia, appetito. Che grande cosa essere in un corpo - persino in questa vecchia carcassa distrutta - che è sangue caldo, seme vivo, midollo ricco, carne sana!»
George è comunque meno banale di quanto voglia pensare o dare a vedere: sul piano delle relazioni personali, l'uomo mostra una maturità e una consapevolezza nei rapporti umani che senz'altro lo pongono su un piano più profondo di quelli altrui. Certo, è introverso, sofferente (se non altro per l'età), in più soffre lo straniamento al quale lo ha condannato la "vedovanza"; però nei due colloqui più corposi del romanzo (con l'amica Charlotte e con il giovane Kenny) si indovina un'indole generosa, sebbene anche consapevole e disincantata. Il presunto anonimato del protagonista, in definitiva, non nasce da un'incapacità di narrarsi, bensì dal rifuggire tanto dalla qualifica di eroe, quanto da quella di antieroe. George non è un modello e non suscita (dentro il libro e fuori) nessun tentativo di emulazione, la sua è una strada (esistenziale e non) che altri non sono interessati a seguire. Da ciò la solitudine, l'entusiasmo illogico, quasi adolescenziale, alla prospettiva di un riscatto e l'inabissarsi lirico di molte pagine.
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