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Un visionario tra i ciarlatani

Creato il 12 giugno 2011 da Maurizio Lorenzi

Pubblichiamo un articolo di Piergiorgio Odifredddi, penna della Repubblica.

L’espressione “un visionario tra i ciarlatani” è di Stanislav Lem, autore di Solaris, ed era riferita a Philip Dick: un autore che si distinse, nel ciarlatanesco mondo della fantascienza, appunto per le sue visioni di mondi alternativi al nostro. Come lui stesso diceva: “se credete che questo mondo sia fuori di testa, aspettate di vedere gli altri”. Anche se poi tutto ciò che ci fu dato di vedere di questi mondi sono state le versioni forniteci dal non meno ciarlatanesco mondo del cinema, da Blade Runner a Truman Show a Minority Report.

L’espressione di Lem si adatta comunque perfettamente anche a Bob Dylan, e al mondo delle canzonette pop, rock e quant’altro. Perchè nel momento in cui i Beatles canticchiavano She loves you yeah o I want to hold your hand, lui componeva Blowing in the wind o The times they are a-changing. E nel momento in cui i primi scatenavano l’isteria delle ragazzine idiote, il secondo ispirava l’impegno dei movimenti di contestazione giovanile statunitensi.

Le parabole musicale dei Beatles e politica di Dylan si sono esaurite in una mezza dozzina d’anni. Entro la fine degli anni Sessanta i primi si erano sciolti, e il secondo aveva ormai intrapreso una carriera più propriamente artistica. Ciò che è successo dopo interessa gli affezionati della musica, ma non il resto del mondo. Il quale forse si stupisce di scoprire che oggi, 24 maggio, Bob Dylan compie settant’anni e continua imperterrito a girare il globo, facendo un centinaia di concerti l’anno.

A suo onore va il fatto che egli ha voluto identificarsi col suo ruolo. Lo si vede solo nei concerti, appunto, e della sua vita privata si sa poco o niente: come appunto dovrebbe essere per chiunque crei qualcosa che vale di per sè, e che non ha bisogno di essere confuso con altro. Un po’ come hanno scelto di fare scrittori come Salinger o Pynchon, affidando soltanto ai propri libri ciò che hanno da dare e da dire.

Sempre a suo onore va il fatto che, le poche volte che è finito nelle grinfie della cronaca, Dylan ha saputo divincolarsene con il sarcasmo e l’arguzia che caratterizzano l’atteggiamento delle persone intelligenti in un mondo idiota. Ad esempio, ad un giornalista al quale disse che stava girando un film di cowboy, e che gli domandò se lui ne interpretava appunto uno, rispose: “No, interpreto mia madre”.

Un paio di anni fa ero negli Stati Uniti, e su tutti i giornali uscì la notizia che Dylan era stato arrestato. Si trovava in una città per fare un concerto, aveva visto un cartello “Vendesi” di fronte a una casa, si era avvicinato a guardare dalle finestre cosa si vendeva, e il suo atteggiamento aveva attirato i sospetti di una signora, che aveva chiamato la polizia. Spiegata la faccenda in commissariato, un poliziotto gli domandò: “Anche lei, però! Cosa stava facendo fuori da solo, di sera, mentre piove?”. E lui rispose: “Stavo passeggiando”.

La relazione tra gli Stati Uniti e Bob Dylan sta tutta in quell’episodio. Da un lato, un mondo paranoico, nel quale anche una passeggiata viene considerata sospetta da chi se sta sempre chiuso in casa, a guardare film e programmi che non parlano d’altro che di violenza. E dall’altro lato, un poeta intelligente, che non può che cercare di risvegliare quel paese con parole pesanti come pietre che rotolano, e che a volte centrano fragorosamente il bersaglio.


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