Ho sempre avuto in uggia la Chiesa e la tristezza che incombe nella maggioranza dei suoi precetti. Mi fa incollerire il disprezzo che gli alti prelati hanno nei confronti del corpo di un uomo, tutti impegnati alla salvezza dell'anima. L'unica prova ignea di Dio che abbiamo, almeno quella che hanno cercato di inculcarci in testa, è una pesante tavola che ci impone, per la salvezza dell'anima, i dieci comandamenti. Non i nostri diritti, quindi, ma i nostri immancabili doveri. Abbiamo dovuto aspettare secoli e secoli, prima che qualcuno ci soccorresse nella vita di tutti i giorni. E non fu un conclave di vescovi o una enciclica illuminante. Ci pensarono Erasmo da Rotterdam o Voltaire. Misero l'Uomo al centro del mondo, non un Essere Supremo. Fu una rivoluzione. Da allora l'uomo capì che, per lui, c'erano anche dei diritti. Il giogo della fede poteva essere allentato.
Mi piace il concetto di pace. La pace non è uno slogan pubblicitario, non è retorica politica. La pace è concreta materia della vita, allo stesso modo, e opposto, della guerra. Non è un indefinito auspicio politico, ma un ben definito stato delle cose. Un bambino che si nutre, che agisce con gioia, che accede al sapere è un bambino che vive nella pace. Un bambino che muore sotto un colpo di cannone è un bambino che muore nella guerra. E se qualcuno, fosse anche il beneamato presidente della Repubblica di questo paese, ha l'ardire di proclamare portatore di pace il soldato che ha premuto l'otturatore di quel cannone, anche il beneamato presidente prostituisce la parola Pace al mercato di una retorica priva di verità. Anche se quel soldato si fosse prodigato a distribuire biscotti affacciandosi dal suo carrarmato fino al giorno prima. I biscotti conservati nella stiva di un carrarmato sono biscotti del tempo di guerra non del tempo di pace. Non voglio sentirmi dire da un cappellano militare: la pace sia con te. Non voglio sentirmi dire da un ministro in giubbotto antiproiettile: siamo qui a portare la pace. La pace è un dogma che non si presta a interpretazioni.
Mi piace ancor di più il concetto di perdono. Giovanni Paolo II non ha vissuto per decretare la fine del comunismo, non è per questo che giustifica la sua vita agli occhi del suo Dio. Si è assunto una missione un pochino più vasta: l'adempimento del disegno di Dio nel mondo. E non ha mai defletto, nonostante la storia, nonostante i poteri. Non ha mai scelto il silenzio. Ha sempre optato per la crudezza dei gesti. Come quello che fece nel natale del 1983: andò in carcere per incontrare e concedere il suo perdono a Alì Agca che gli piazzò qualche pallottola in ventre due anni prima. Questo è il disegno di Dio. Questo è il vuoto incolmabile che noi ci porteremo dietro per tutta la vita...