un western dell'anima...
Creato il 25 novembre 2010 da Omar
The Assassination of Jesse James by the Coward Robert Ford è il film col quale Brad Pitt si meritò a Venezia una controversa Coppa Volpi. La pellicola, tratta dal romanzo omonimo di Ron Hansen, è l'opera seconda del cineasta australiano Andrew Dominik, già apprezzato per il lungometraggio Chopper (dove c'era uno sconvolgente Eric Bana nei panni di un sociopatico killer seriale australiano). Sin dalla sua uscita questo (ennesimo) film sul bandito più famoso d'America ha contrapposto schiere di detrattori a fazioni armate di estimatori e il titolare del blog, con una convinzione che rasenta il fanatismo, deve confessare di appartenere ai secondi. Finalmente infatti siamo dinanzi ad una pellicola capace di spogliare di tutti gli orpelli mitologici i luoghi della leggenda della Frontiera, a cominciare dalla semplice attesa da parte di un manipolo di banditi di un treno da svaligiare. Finalmente un western davvero introspettivo, in grado di restituirci senza fronzoli né spettacolarizzazioni gratuite l'oscurità (anche figurata) che attanaglia i binari nei momenti immediatamente precedenti alla rapina. Illuminato da una luce a dir poco sepolcrale, L'assassinio di Jesse James procede a passo lento, contemplativo, architettando la propria rappresentazione antieroica con un ritmo quasi metafisico riuscendo al contempo a intridere la storia di una serpeggiante paranoia: ambizione e ambivalenza, motori della vicenda, collimano in una visione di struggente e malickiana bellezza. La vigliaccheria del personaggio di Robert Ford (ma perdìo quant'è bravo Casey Affleck, il fratello del più noto Ben?) si impregna di seducenti nuances, convertendosi ad un disegno di vendetta a sua volta pervaso d'una surrettizia autodistruttività. «Non sarò mai come te e quindi ti uccido, ma uccidendo te muoio anch'io» sembra dire Ford (che anche nella realtà storica mise fine alla vita del bandito), un vile dalla vita insulsa che per un breve periodo si tinse di straordinarietà. Ed è in questo semplice assunto il fulcro dell'intera opera. Attraverso di esso il Mito americano viene rielaborato, scandagliato come dal vetro opaco di una finestra (le immagini sono spesso sfocate, fumose, oppure rifratte nello specchio di un saloon o di una abitazione). Per contro, la densità psicologica dei protagonisti che animano la scena (che è poi ciò che probabilmente ha infastidito i puristi del genere) è stratificata, mutevole, irta di contraddizioni: in una parola, moderna! Le figure che popolano il film sono infatti pistoleri pieni di debolezze umane, invidiosi e meschini, rudi, violenti, talvolta sensibili e assai spesso ambigui. Facendo attenzione a evitare ogni deriva manichea, Dominik inanella una malinconica fila di caratteri tormentati sui quali alligna la rincorsa dello spirito di Jesse James, ormai svanito, e delle spoglie superstiti di Robert Ford, dapprima ammirato e presto destinato a racchiudere in sé tutti gli odi e le paure di un'epoca (quella del Selvaggio West, appunto - ma forse la nostra, chissà!) che si chiude. Cameo che da solo vale il prezzo del biglietto per Sam Shepard nei panni di Frank James e divertente comparsata di Nick Cave (anche autore delle musiche assieme al sodale Warren Ellis) in quelli di un cantastorie cialtrone. Un film da vedere assaporandone istante per istante l'accumularsi di segni, in una straziante, maestosa ballata elegiaca.
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