Sull'incontro di lunedì 28 maggio in cui è stato presentato il libro di Eraldo Baldini, Norino Cani e Pietro Compagni "Pasqua di sangue. La battaglia di Ravenna. 11 aprile 1512"
Dei fatti bellici che si sono svolti l'undici di aprile del 1512 nella piana romagnola nei pressi di Ravenna ne danno un ampio resoconto gli autori, Cani, Baldini e Compagni nel loro libro -Pasqua di sangue-, un titolo un po' horror ed evocativo della spettacolare macelleria che fu la battaglia, seguito da un sottotitolo più storicamente sobrio, -la battaglia di Ravenna-.
In una calda serata di fine maggio i locali dell'albergo Ala d'oro si sono riempiti di un pubblico curioso su fatti forse poco noti. Non so quanti dei presenti fossero a conoscenza perfino dell'esistenza di una battaglia simile combattuta dalle soldatesche francesi e papaline nelle nostre terre romagnole a ridosso di Ravenna, o che vagamente ne avessero sentito parlare, in ogni caso di tutto ciò che riguarda quella battaglia, gli autori informano il pubblico con dovizia di particolari tattici e strategici. Per semplice spirito di orientamento serve dire alcune cose, di molto semplificate, prima di arrivare in armi alle porte di Ravenna. Si tratta di sapere che questa battaglia rientra in uno scacchiere bellico assai vasto e complesso che vede contrapposti gli eserciti del papa e quelli del re di Francia, il cui teatro di belligeranza è inevitabilmente l'Italia che gode come sempre delle mire dei più aggueriti eserciti d'Europa che hanno porzioni di regno più o meno grandi sul territorio, e che sono tutti mossi da un fervore espansionistico senza freni. Occorre sapere che il papa belligerante corazzato e armato come pochi, Giuliano della Rovere, cioè papa Giulio II, nel 1506 aveva condotto, con lungimiranza e sprezzo del pericolo come racconta Macchiavelli, Genova a ribellarsi a Luigi XII, e successivamente spinto dall'audacia del conquistatore aveva preso Bologna e cacciato Giovanni Bentivoglio dalla città. Aveva perciò conquistato alcuni capisaldi francesi e suscitato le giustificate ire di Luigi XII che era sceso in armi in Italia a riprendersi quello che era suo. Oltre a ciò Giulio II aveva trovato il tempo di fare imbestialire il duca di Ferrara per l'annosa questione delle saline di Comacchio e per questo gli Estensi si erano schierati con i Francesi. Giulio II aveva gettato in piena faccia a Luigi XII il suo pesante guanto da guerra che non tardò ad essere raccolto da suo nipote, un giovane combattente bello e coraggioso come sono tutti gli eroi, che rispondeva al nome di Gaston de Foix mandato da suo zio a organizzare la difesa di Milano assediata dai papalini, aiutati dai veneziani e dagli spagnoli. Il giovane eroe è talmente abile nella resistenza che non solo salva Milano ma organizza una fenomenale controffensiva che lo porta in breve tempo a riconquistare le marche perdute e a marciare verso Roma e Napoli. Contro un avversario così agguerrito i papalini non cercano il combattimento a viso aperto ma il contenimento strategico che si rivela una mossa astuta. L'esercito francese ridotto alla fame decide di approvvigionarsi nella zona più ricca e popolosa a portata di colubrina, cioè Ravenna. Incalzati dai papalini i francesi si predispongono alla battaglia in un'area che fino a poco tempo fa era ancora vaga e che gli studi degli autori hanno contribuito a definire con esattezza,tra Madonna dell'Albero e il Molinaccio di San Bartolo. È qui che avviene la battaglia di cui si tratta e che dà origine a una spettacolare ecatombe di militi di mitologica memoria. E si racconta anche di come l'introduzione delle armi da fuoco diventa la svolta tecnologica che varrà la vittoria sul campo, di come quest'invenzione di portata epocale segnerà per sempre le guerre a venire e l'aumento vertiginoso del numero dei caduti; e inoltre come a fomentare superstizioni popolari, nel libro, accanto a figure di militi e stendardi, scudi e uniformi appaiono figure mostruose, orribili ibridi dei quali si può intuire la significanza mitologica, una sorta di giustificazione astrologica che compendia i fatti terribili di quei giorni: infatti, a quei tempi si pensava che una natalità eccezionale portasse con sé i germi di un evento catastrofico. E di certo a Ravenna, qualcosa di mostruoso accadde, certo però come noi crediamo indipendentemente dalla nascita di esseri deformi, che senza dubbio acquisivano un valore strumentale di grande rilevanza politica. I segni che si distinguevano sui loro corpi potevano essere letti o come l'annuncio di una catastrofe imminente oppure una profezia di vittoria, in fondo, tutto quello che non era puro esercizio delle armi rientrava in un ambito filosofico e politico, proprio come adesso, in cui l' arbitrarietà di lettura degli eventi è una pietra miliare della interpretazione strumentale.di Ivano Nanni