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Una botta di qua e una di là

Creato il 21 giugno 2013 da Marina Viola @marinaviola

Una botta di qua e una di làÈ passato quasi un mese da quando sono venuta via da casa, a Cambridge. Sono uscita da quella casa dove per anni non sono stata che la mamma di Luca, con tutti i suoi annessi e connessi, di Sofia e di Emma. Padrona di due cani da portare a pisciare tre o quattro volte il giorno. Moglie di Dan, che come milioni di uomini, esce la mattina e torna la sera, con sì la voglia di partecipare al ménage della famiglia, ma comunque con un ruolo meno primario nella conduzione famigliare, che vede la cena come ultima fatica, dopo bucati, spese, pulizie, compiti, e infiniti giochi a rubamazzetto fingendo di perdere. Ecco, sono uscita da quella casa che ero ancora una casalinga. Diciassette anni al servizio dei bimbi, di Dan, delle case (di Cambridge e di Becket).Prendo l’aereo, e sbarco a Milano dove cambio addirittura cognome, e da Canale-Parola divento Viola, la figlia di. Sono quella che ha scritto il libro su. Invitata ai festival, intervistata a destra e manca, richiesta da tv e radio private e pubbliche, con la foto sui giornali, gli articoli, le robe. Treni per città sconosciute, a parlare in librerie sconosciute a persone sconosciute. Mi si chiede pure l’autografo. Mi invitano a pranzo e cena personaggi i cui volti vedo sui giornali, che mi dicono di essersi commossi dai miei raconti di famiglia. Una vita quasi da star. Lontana un oceano dal mio ruolo di casalinga. Una vita schizofrenica tra il normale e l’eccezionale.Poi, la sera, quando invece là a casa è ancora pomeriggio, chiamo. Emma, che di anni ne ha solo sei, sente moltissimo la mia mancanza, e singhiozzando mi chiede quando torno. Mi dice che al saggio c’era solo papà, e anche lla breakfast della classe, dove il maestro (il mitico Mister K.) mostra fiero ai genitori quello che i bimbi hanno fatto durante l’anno. Sofia, un po’ stordita dalla mia rarissima assenza, mi chiede di raccontarle, ma capisco che non riesce molto a immedesimarsi nella mia vita di qui. Non capisce bene quello che mi sta succedendo. Non ha neanche ancora capito bene chi fosse questo suo nonno strano. Nel frattempo ha finito la terza media con tanto di cermonia con cappellino e mantella nera (vedi film), e genitori co gli occhi lucidi.Poi c’è Luca, che vaga per casa dicendo mummy mummy, e che non parla, figuriamoci al telefono. E sicuramente non capisce come mai la sua mamma, che per anni dicassette gli è sempre stata affianco, non ci sia più. Si chiederà nel suo modo unico e indecifrabile di chiedersi, se tornerò, o cosa diavolo sarà mai successo a un tran tran che oramai tutti noi davamo assolutamente per scontato. Poi Dan, che un po’ sfogandosi, mi dice della difficoltà di far andare avanti la baracca da solo per un mese intero: la spesa, il bucato, i cani. E i ragazzi. Lo so, gli dico: credimi.Insomma, me ne vado a letto col magone che sovrasta i miei momenti di gloria e di successo. Perché, mi dico rigirandomi nel lettone mezzo vuoto, sono scema: dovrei invece godere ogni minuto di questa libertà conquistata a botte di ‘tirem inans’ di anni. Adesso, mi dico, è il mio momento: ho finalmente capito che il mio cervello non si è atrofizzato dopo tanti anni concentrati sull’ottenere la felicità degli altri. Che ho ancora qualcosa da dire, qualcosa di cui essere fiera. Un vero e proprio successo. Non parlo del libro, che pure sembra piacere a moltissimi, ma parlo di me, della nuova consapevolezza di valere per me stessa, di avere qualcosa da dire. Un po’ come quando, anni fa, riuscii a laurearmi in sociologia. Un successo mio personale. Insomma, mi faccio questi discorsi da sola, mentre l’orologio propone un bel due meno venti: meglio dormire, che domani c’è da fare. Poi tra sei giorni torno nel nido. Intanto però ci do dentro.

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