Una brutta serata

Da Adc

Ascoltavo la pioggia che batteva sui vetri. Era un venerdì sera e non avevo niente da fare, se non starmene sdraiato sul letto ad ascoltare la pioggia che ci dava dentro. Nonostante il tempaccio le macchine filavano veloci sulla strada, il mondo andava avanti. E io me ne stavo lì, inghiottito dal tempo che mi scivolava addosso. E’ strano se ci pensate, quanto tempo passiamo senza fare niente, ad aspettare che accada qualcosa, ma spesso rimaniamo delusi. Non succede niente. E così continuiamo ad aspettare. E mentre aspettiamo diventiamo vecchi, iniziamo a puzzare e a deperire, fino alla morte. L’unica cosa certa. E’ rassicurante, in un certo senso. Sapere che lei è lì, non abbandona mai nessuno. L’unico affetto sicuro. Pensateci.

Squilla il telefono.

“Sì? “

“ Alfredo, noi andiamo al pub, sei dei nostri? “ chiede una voce rauca, era Mirko, un compagno di università. Un idiota.

“ Naa.. “

“ Dai, che cazzo! Te ne stai sempre chiuso in casa. E’ venerdì sera… “

“ E l’altro ieri era mercoledì! “ misi giù il telefono.

E’ venerdì sera. E allora? Capisco per chi si spacca il culo tutta la settimana, ma io non lavoro. Non più, almeno. Bisogna inghiottire troppi rospi per quello. Non fa per me. Quindi mi ritengo libero di passare il venerdì sera a casa mia, senza dover dispensare giustificazioni ad un fottutissimo figlio di papà cocainomane.

Decisi di vedere un film. Avevo affittato Taxi Driver. Gran bel film. De Niro ha dato il meglio di sé in quella pellicola. Un vero pazzo alienato. Ogni volta che lo guardo penso che, prima o poi, potrei impazzire anch’io a quel modo. Anzi, mi meraviglio che la maggior parte di noi non lo faccia. I presupposti ci sarebbero tutti. Mi immagino tutti quanti, la mattina mentre si guardano allo specchio – ma dici a me? ehi, con chi stai parlando? Dici a me? non ci sono che io qui… - e tutti lì a smanettare con fondine e pistole. Macché! Tutti si limitano a farsi una sega, nient’altro. Forse sarebbe meglio che impazzissimo tutti, ci sarebbe da divertirsi. Può darsi che un po’ di sana e sincera follia possa anche aiutare e portare qualche miglioria. Peggio di così, la vedo difficile.

Fatto sta che mi accomodai sul divano e iniziai a vedere il film. Non mi sarei mai stancato di vederlo. No davvero.

Dopo neanche dieci minuti suonano alla porta. Feci finta di niente. Il campanello continuò a suonare ad intermittenze sempre più brevi, fino a che diventò un unico lungo suono ininterrotto. Mi alzai e aprii la porta.Era Mirko. Lo sapevo, ci avrei scommesso tutt’e due le palle. Non era solo, con lui c’erano due ragazze. Erano entrambe bionde, non molto alte. Erano vestite quasi allo stesso modo: gonna corta, calze scure, stivali col tacco e maglioncino. Li feci entrare.

“ Se Maometto non va alla montagna… “ disse Mirko, sorridendo.

“ Spero ti crolli addosso quella fottuta montagna! “ risposi io, serio.

Mirko era il classico fighetto, ben vestito, di cui brulicano le strade di ogni città. Non ce n’è mai abbastanza di quei fottuti pidocchi. Ma certe volte era simpatico. Raramente, ma meglio che niente. Era alto, moro, uno di quelli che passa tutti i pomeriggi chiuso in palestra. I suoi interessi, oltre alla palestra naturalmente, si limitavano ad una bella macchina – pagata rigorosamente da papà – belle donne – possibilmente diverse di sera in sera – e – ultima ma non ultima – la cocaina.

Si accomodarono tutti e tre sul divano. Il film era andato a farsi fottere. Rimasi in piedi, il divano era per tre persone. Avevano portato due bottiglie di vino e una di Jack Daniels. Perlomeno. Presi quattro bicchieri, stappai una delle due bottiglie di vino e li riempii.

Le ragazze si guardavano, sghignazzando e parlando sottovoce. Maleducate.

“Scusate, non ho fatto le presentazioni,“ disse Mirko all’improvviso “Marta, lui è Alfredo… Alfredo, lei è Marta.”

Io e Marta ci stringemmo la mano. Mi sorrise.

“Alessia…Alfredo…Alfredo…Alessia…”

Strinsi la mano ad Alessia. Anche Alessia sorrise.

Da buon padrone di casa porsi agli auto-invitati i bicchieri, accennammo ad un brindisi alzando timidamente i bicchieri e bevemmo. Io finii il mio in un sorso e feci il bis. Per come si stava mettendo la serata, ne avrei avuto bisogno. Eccome!

Passammo un’oretta a bere e a parlare, delle solite stronzate; del tempo schifo, dell’università, degli ultimi film visti, ecc. Poi, Mirko tirò fuori dalla tasca interna del giaccone un bustina bianca tutta arrotolata. La srotolò, preparò tre strisce sul tavolinetto. Sapeva che a me non doveva neppure provare a chiederlo, quel figlio di una cagna. Aprì il portafoglio, tirò fuori una banconota da cinquanta e l’arrotolò.

“Prima le signore… “ disse, porgendo il rotolino ad Alessia, che gli stava seduta accanto.

Alessia sorrise, accettò l’invito e si piegò avidamente sul tavolino. La spolverò tutta, non lasciò neppure un granellino. Poi fu la volta degli altri due, che fecero lo stesso.

“ Tu, al solito, niente, eh? “ mi chiese.

“ Fottiti” fu la mia risposta.

Scoppiò a ridere. Figlio di puttana, idiota. Quando tirava coca non era mai simpatico. Come cazzo si fa a passare le giornate a tirare quella merda, con quello che costa poi. Ma per Mirko il lato economico non rappresentava certo un problema. Il padre era a capo di un’importante azienda e, pur di avere il figlio fuori dai coglioni,lo copriva di soldi ed esaudiva tutte le sue richieste. Con un figlio come quello, non me la sentivo certo di biasimarlo.

Continuammo a parlare, loro a tirare e io a bere. Dopo un po’, ero bello che ubriaco. Iniziammo a sparare cazzate, io mosso dall’alcool e loro schizzati dall’effetto della coca. Sicuramente io dicevo cose più intelligenti. Ad un certo punto Mirko si appartò in un angolo del divano con Marta, cinque minuti dopo limonavano come pazzi. Alessia mi guardava. Mi sentivo a disagio, non che fossi imbarazzato, l’alcool aveva azzerato qualsiasi inibizione. Ma a vedere quella puttanella, ancora col naso infarinato, mi veniva solo voglia di vomitare. Era carina e tutto, ma non mi attirava, non aveva niente di interessante. Intanto, gli altri due si erano spostati in camera da letto. Sì, certo fate come foste a casa vostra. Coglioni. L’altra continuava a fissarmi.

“Siediti” mi dice.

Mi sedetti, mantenendo comunque una certa distanza, che lei prontamente azzerò spostandosi verso di me.

“Scusami un attimo, devo andare in bagno” le dissi.

Emise una risatina stridula. Stavano sempre a ridere, lei e la sua amica. Che cazzo avevano tanto da ridere non riuscivo a capirlo. Puttane drogate del cazzo.

Mi alzai e andai in bagno. Vomitai. Più volte. Mi sciacquai la faccia e la bocca e tornai sul divano. Alessia si era tolta gli stivali. Mi venne vicino, praticamente addosso.

“Sei carino” mi fa.

“Ah, sì?”

“Sì”

Un istante dopo avevo la sua lingua in bocca che mi ispezionava la trachea. Aveva la lingua ruvida, come quella dei gatti. Era fastidiosa. Baciava in un modo irritante, sembrava un dentista intento a fare la pulizia dei denti. Appena potei, mi staccai.

“Che c’è? Non ti piaccio?”

“No, no. Anzi. E’ che sto poco bene, sono ubriaco.”

“Meglio, no?” la sua lingua tornò al lavoro nella mia bocca.

Non sapevo come uscirne. Quel figlio di puttana di Mirko. Io volevo solo vedere Taxi Driver in santa pace.

Intanto dalla stanza si sentivano gli altri due che ci davano dentro, la rete del letto era rotta, quindi faceva un rumore infernale. Non sembravano farci caso, però.

Nel frattempo, Alessia aveva spostato la mano sul cavallo dei miei pantaloni. Mi era venuto duro, nonostante tutto. Iniziò a massaggiare, piano piano. Poi aprì la zip. La bloccai. Non volevo scoparla, non mi piaceva, era odiosa. Una stupida puttanella cocainomane, ecco cos’era. Mi alzai.

“Che c’è adesso?” disse con fare scocciato.

“Niente. C’è solo che non ho voglia”

“Sei finocchio?”chiese bruscamente.

“No, no. Non ho voglia e basta.”

“Dai vieni qui, il tuo coso non la pensa così” disse portando lo sguardo al bozzo che mi si era creato nei pantaloni, “sono brava con la bocca“

“Naaa, meglio di no“

“ Fai un po’ come ti pare” disse, rassegnata.

Richiusi la zip e mi riempii il bicchiere, questa volta di whiskey. Buttai giù tutto in un sorso. Ci voleva proprio.

Alessia si era rimessa le scarpe e se ne stava seduta sul divano con le gambe accavallate. Belle gambe, però. Peccato che penzolassero dalla persona sbagliata. Non mi aveva più rivolto la parola. Io continuavo a bere, in piedi.

Qualche minuto dopo uscirono Mirko e Marta. Non avevano l’aria di due che avevano appena scopato, lei era tutta precisa, come quando era entrata.

“Allora, tutto ok qui?” chiese Mirko.

“Sì, come no?” gli risposi.

Alessia non fiatò, se ne stava semplicemente sul divano senza muoversi.

Mirko mi lanciò uno sguardo d’intesa. Era convinto che avessi fatto chissà cosa.Continuava a sorridere. Coglione.

“Be’, noi andiamo allora…”

“Ok“

Finalmente, pensai, era ora. Avevo bisogno di restare solo, di un po’ di pace.

Li accompagnai alla porta, li salutai e se ne andarono. Alessia non sorrideva più.

Tornai sul divano e riempii il bicchiere. Sempre whiskey. Finalmente solo. Non si sentiva più la pioggia ticchettare sui vetri. Mi affacciai alla finestra, il cielo si era ripulito, si intravedeva persino qualche stella qua e là. Sicuramente l’indomani sarebbe stato migliore.



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