Magazine Cultura
UNA CALIBRO 20 PER LO SPECIALISTA a cura di Stefano Di Marino
Creato il 11 giugno 2013 da DiegothrillerScaduto il tempo previsto e mancando ancora da girare tutta la sequenza del colpo le spese rischiavano di lievitare. A quel punto non è difficile immaginare il ‘discorsetto’ fatto da Eastwood a Cimino. O finiva di girare tutto in una notte oppure la troupe sarebbe stata mandata a casa. Come racconta Richard Schinkel nella sua biografia dedicata a Eastwood, Cimino lavorò tutta la notte e riuscì a completare il film. Meno male, perché si tratta di un piccolo capolavoro degli anni ’70, di quelli che ci fanno rimpiangere il cinema di quella stagione, autenticamente indipendente malgrado tutto. C’è un altro particolare segno distintivo che permette di riconoscere Thunderbolt and Lightfoot come un film di Eastwood. È sì un caper, un film di rapina, un nero dell’America dei grandi spazi, quella più agricola che ancora assomiglia al West ma, prima di tutto, è un film su cosa significhi essere uomini che è poi il tema dominante di tutta la produzione di Eastwood. I due eponimi protagonisti s’incontrano per caso. Il giovane ribelle ha appena rubato una macchina, il più anziano rapinatore fugge in un campo di grano da un uomo deciso a ucciderlo dopo averne smascherato la falsa identità di predicatore. Sino alla metà del film di rapine e di colpi non si parla. C’è piuttosto il consolidarsi dapprima riottoso poi sempre più forte di un’amicizia virile, senza ambiguità tra due generazioni abituate a vivere ‘al margine’. E negli incontri bizzarri, spesso grotteschi con uomini e donne che i due fanno nella loro strada verso il Montana si intravede un messaggio che è rivelato a chiare lettere solo nel finale. È il momento in cui per caso i due approdano a una vecchia scuola trasferita dalla città a una location turistica disabitata che lo spettatore comprende veramente. C’è un cartello che spiega il trasferimento dell’edificio eletto a esempio di un’America che ormai non c’è più. Ed è questo il sottotesto sempre presente in ogni dialogo, in ogni battuta, in ogni stramberia che appare in un film dai tempi lunghi, quasi disconnessi con la rigida timeline del classico caper. Compreso questo finalmente arriviamo alla rapina. Una doppia rapina, perché, infatti, anni prima Thunderbolt assieme a una raffazzonata banda di delinquenti ha messoa segno un colpo favoloso il cui bottino è nascosto nei muri della famosa scuola. Questa, essendo stata spostata, sembra aver portato via con sé ogni speranza di recuperare ‘il mucchio’. Da qui l’odio feroce di Leary il Rosso(un sempre bravissimo George Kennedy) e di Moody( Geoffrey Lewis altro veterano delle produzioni eastwoodiane)verso l’ ‘Artigliere’ che ritengono responsabile del mancato guadagno. La banda si riunisce e acquista un elemento in più, il giovane Lightfoot che è espressione di quell’America anni 70, impavida e incosciente ma anche disperatamente bisognosa di punti di riferimento. Il colpo prevede l’uso di un cannone, un gustoso pezzo ‘en travestì’ di Bridges, tempismo e una fuga in un drive Inn. Tutto funziona quasi perfettamente, poi il maledetto caso ci mette le zampe e Leary, che di tutti è forse il più pazzo , il più disperato, provoca un pasticcio. Cerca di filarsela da solo dopo che Moody e stato ucciso e pesta selvaggiamente il giovane. Finirà maciullato dai proiettili della polizia. Per un caso l’Artigliere e il giovane ritrovano la famosa scuola. Sono ricchi. Possono permettersi la tanto sognata Caddillac bianca acquistata in contanti e andare dovunque oltre le montagne. Hanno vinto. Eppure le botte di Leary hanno avuto la meglio sull’irruenza giovanile di Lightfoot che muore, pur fiero di sé, proprio quando pensava di avercela fatta. Si conferma così la tradizione ‘nera’ del cinema di rapina. Il crimine non paga, anche se le considerazioni ben più amare sull’America, sull’amicizia e sul destino superano e affievoliscono l’interesse per l’intreccio puramente criminale.
Articolo a cura di Stefano Di Marino/Stephen Gunn http://hotmag.me/ilprofessionista/
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