"...conobbi un uomo che stava disegnando una mappa perfetta di New York. Lavorava per il municipio e, a partire da un insieme di fotografie aeree e di diagrammi della metropolitana, aveva trasformato ogni isolato, ogni strada e ogni riparo - tutto quanto, in ognuno dei cinque boroughs di New York! - in altrettante figure geometriche ben disegnate, dai colori brillanti, disseminate su un reticolo di quadrati. Gli edifici in rosso, le strade in azzurro, gli spazi aperti in bianco, i tunnel della metropolitana tracciati come linee punteggiate... tutto quel che c'è a New York era sulla sua mappa: ogni rampa d'ingresso alla Major Deegan Expressway e, nel Bronx, ogni singolo edificio abbandonato con la facciata in arenaria rossa.
L'inghippo era che quella mappa, con tutta la sua maniacale perfezione, non era finita, né avrebbe mai potuto esserlo, perché la città che descriveva era troppo "dinamica" e cambiava ogni giorno rendendo obsoleto il disegno appena ultimato. Quando tutto aveva trovato il suo posto - i tunnel della metropolitana allineati con le strade in superficie, i condotti per le tubature della Con Ed con i tunnel della metropolitana, tutto il resto con gli edifici soprastanti - arrivava sempre qualcuno con la scoraggiante notizia: qualcosa era cambiato, e immancabilmente di parecchio. E così ogni volta che aveva quasi finito, l'uomo doveva ricominciare tutto daccapo.
Conservo un piccolo settore di quella mappa nel mio studio, mi serve da promemoria per ricordare alcune verità su New York: la prima è che una mappa reale della città richiama alla mente quella personale e interiore che noi ci siamo fatti di essa. A New York non è possibile alcun tipo di vita se non ci si forma mentalmente una rappresentazione privata della città - e queste mappe interiori, come scrisse Roger Angell, sono sempre dettagliate, sempre suddivise in quadrati locali, e sempre incompiute. Alla fine, la mappa privata risulta provvisoria come quella pubblica: non qualcosa su cui i nostri passi e le nostre esperienze traccino solchi sempre più profondi con il passare degli anni; piuttosto, qualcosa su cui nessun passo - nulla - sembra lasciare traccia alcuna.
[...]
New York è una città da camere in affitto, una città dalle molte mappe: noi continuiamo a ridisegnarle e, consapevoli o no, proviamo un senso di gratitudine se, rispetto all'ultimo rilevamento, riusciamo ancora a trovare, affiorante dall'acqua, un'unica isola che ci sia familiare.
[...]
Ricordo che guardai fuori dalla finestra della piccola camera di servizio in cui ci eravamo sistemati, vidi le luci di Palisades dalla parte opposta, e pensai, Ecco, Eccola là! Ecco New York, questa città meravigliosa. Un giorno andrò a viverci. Perfino trovandomi davvero a New York - nel luogo reale - reputavo così meravigliosa l'idea di questa città da non poter fare a meno di immaginarmela come un altro posto, ben più grande di qualsiasi luogo reale potesse accogliermi a dormire, remota costellazione di luci che ancora non mi era permesso di visitare. Ero arrivato nel regno di Oz solo per pensare, Be', ma tu mica ci abiti a Oz, giusto?
Da allora, New York è esistita per me simultaneamente come una mappa da studiare e un luogo a cui aspirare - una città di cose e una città di simboli, il luogo in cui mi trovo realmente e il luogo in cui vorrei essere anche quando effettivamente ci sono già.
[...]
Perfino quando ci stabiliamo qui a New York, in qualche modo questa città sembra sempre un luogo a cui aspirare. La sua vita - le strade, gli hot dog e i modi bruschi - è una cosa; ma i suoi simboli - le luci dall'altra parte, il richiamo del profilo disegnato sullo sfondo del cielo - sono qualcosa di diverso. Perfino quando l'esasperazione è al massimo, lasciamo che continuino a ispirarci. Se l'energia di New York è l'energia di chi aspira a qualcosa - fammi entrare! - lo spirito di New York è davvero quello delle camere in affitto: vedrò di adattarmi a questa sistemazione. [...] ...come se fosse stato il luogo di cui dovevamo essere, anche solo per poter avanzare la pretesa di essere. Questa impressione non mi ha mai lasciato. Ho vissuto altrove, ma nessun altro luogo trasmette in modo così totale e illusorio la sensazione di casa."
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INFO"Adam Gopnik scrive per il New Yorker dal 1986. Ha vinto tre volte il National Magazine Award for Essays and for Criticism e il George Polk Award for Magazine Reporting. Vive a New York con la moglie e i loro due figli".
Il libro " Una casa a New York" è edito da Guanda ed è possibile acquistarlo in tutte le librerie e online (ISBN 978 88 6088 739 9).