Magazine Diario personale
Alert: questo è un instant post a proposito dell'articolo di oggi di Baricco su Repubblica, che fa parte della rubrica Una certa idea di mondo - I migliori cinquanta libri che ho letto negli ultimi dieci anni. Ciò per dire che magari chi non l'ha letto non capisce a cosa mi riferisco, ma provo a spiegare.
Qui insomma si solleva una questione importantissima, secondo me, riguardo alla contemporaneità. Questioni su cui tutti a diversi livelli ci si interroga in toni più o meno altisonanti e contorti, che poi arriva Baricco e con la sua proverbiale semplicità individua invece con chiarezza e precisione, sempre secondo me, il punto.
In questa puntata racconta di una certa scrittrice tedesca del 1967 che si chiama Inka Parei (che in piemontese significa "così" hehe). Lei ha scritto in particolare un libro che si chiama La ragazza che fa a pugni con l'ombra, che a quanto pare è molto bello; ed è un titolo che con la questione sollevata in seguito, tra l'altro, instaura un certo legame interessante.
Il concetto è che questa bravissima, meravigliosa scrittrice ha smesso di scrivere, anzi ha smesso di pubblicare libri. Baricco racconta di averla cercata in rete, perché colpito dal suo talento, e di averla trovata "apparentemente felice, su un furgoncino in viaggio per la Nuova Zelanda, scrivendo poi le sue note di viaggio in un suo blog. Tutto bene, per carità, ma certo è un po' come se fra qualche anno mi ritrovassi la Pellegrini che fa l'animatrice in un Acquafan".
(Qui ci starebbe una faccina...)
Apparentemente. Ecco, se non sentissi la responsabilità verso chi legge, ora mi fermerei, ammirata, dicendo solo: è un genio, ha scritto cose che lavorano nella mia mente e che non capisco bene neanche io ma sono vere, grande Baricco. E stop.
Però vorrei aggiungere, come chiarimento, se ci riesco, che questo discorso che poi Baricco prosegue più o meno così:
"La corrente del fiume trascina altrove, e molti ne deducono con tranquillità la verità indiscutibile che è meglio essere vivi che bravi".
Che questo discorso è un po' il fulcro di molti altri discorsi che si fanno da qualche tempo fuori e dentro la rete. Avendo un blog "personale", non posso che riferirmi autoreferenzialmente a me stessa, e riflettere su ciò. Personalmente, dunque, mi sento nel mondo dei vivi. Viva, come il passerotto che ora pigola sull'albero che vedo dalla finestra, viva come il temporale che sta per arrivare oggi, come il gatto del vicino di casa, come il vicino di casa che fa una passeggiata di domenica mattina, come sua moglie che fa le lasagne etc.
Parte di un mondo dove ad esempio l'avere un blog assomiglia a fare l'elettrocardiogramma tutti i giorni: ok, sono viva! E lo racconto qui. Il fatto che si possa essere anche bravi, è una cosa che mi era sfuggita...
Scherzo eh, è come quella battuta di quel film in cui all'attrice "fanno male i capelli". Ovvero: un'assurdità.
Dico questo perché ho creduto, come molti, lo so per certo, che il discorso di "diventare anche bravi" fosse una strada chiusa, preclusa a un certa generazione, a una certa fetta della società, cui sentivo di appartenere (ad esempio, i precari, che in quanto tali devono sgomitare in acque alte per sopravvivere, come chi non sa mai nuotare, e via dicendo).
Invece questo articolo mi ha fatto venire in mente un'altra cosa. Che questo "struggle" tra l'essere vivi e l'essere bravi può essere (o diventare) ora anche una scelta. Una scelta di vita, o di bravura. Non so se si capisce. Ma tutto quello che credevo di avere un po' "subito" in questi anni, magari, in certi modi, l'ho anche scelto. Beninteso: non certo le cose grosse, come il precariato. Ma certe reazioni, certe conclusioni affrettate. E come me, forse, la butto lì, anche molti altri.
Quindi insomma questo articolo oltre a essere una fotografia di ciò che sta accadendo, può assomigliare anche a un invito. Uno spunto: perché non provare a essere bravi, oltre che vivi? Fermarsi un attimo e scegliere di vivere come se si fosse anche bravi. O le due cose si escludono per forza a vicenda?
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