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Una chiacchierata tra amici con Giancarlo De Cataldo.

Creato il 15 ottobre 2012 da Taxi Drivers @TaxiDriversRoma

“PERCHE’ DECIDERE DI SCRIVERE UN AFFRESCO STORICO POLITICO SULL’ITALIA DEGLI ANNI SETTANTA E RITROVARSI INVECE CANTORE DI UN MONDO DI CRIMINALI (DIVENTATO POI UN FILM ED UNA SERIE TELEVISIVA DI ENORME SUCCESSO)?”

Una chiacchierata tra amici con Giancarlo De Cataldo.

Romanzo criminale di Giancarlo De Cataldo nel 2001, l’anno della sua edizione, era solo un bel romanzo, finanche un romanzo importante pensiamo perché, nella nostra memoria, in qualche maniera aveva richiamato nettamente l’ essenziale narrativa di Pier Paolo Pasolini, ci aveva riportato ai suoi ragazzi di vita. La descrizione piena ed attenta, da parte di De Cataldo, di questi ragazzi della periferia romana, coalizzati poi nella famigerata banda della Magliana  (la loro unica idea era quella di diventare i ricchi padroni di Roma, vivere finalmente una rivalsa alla loro condizione estrema di povertà), e questo proprio attraverso una narrativa assolutamente priva di patina, a sancire proprio un avvertimento ed un proseguio, anche ideale, sociale, politico, con i ragazzi delle borgate romane raccontate da Pasolini nei suoi due formidabili romanzi, scritti negli anni cinquanta, appunto  Ragazzi di vita  ed  Una vita violenta.  Insomma, ci siamo detti, questi ragazzi sono, in fondo, i figli di  Accattone  (che Pier Paolo Pasolini girò nel 1961 traendo appunto le ragioni sociologiche del film dai suoi due sopracitati romanzi),  una pellicola che fu memorabile anche per la sua nessuna relazione con una concezione industriale del cinema e della cultura, un valore quasi necessario per quelle generazioni che stavano diventando mature negli anni settanta. Perché Pier Paolo Pasolini è stato sempre almeno dieci anni avanti a tutto il resto dell’intellighenzia nazionale. Infatti anche  Romanzo criminale dopo è diventato un film, un grande film, anzi un film proprio importante, diretto, e senza risparmiarsi precisiamo, da un ispirato Michele Placido.  Dopo il romanzo di De Cataldo si è protratto ancora, anche in maniera più corposa e saggia in una serie televisiva di grande successo, prodotta da Sky, e diretta con piglio autoriale da un regista, all’epoca quasi esordiente, Stefano Sollima,  cui ci darà dopo anche l’efficientissimo spettacolo di Acab, 2011, storia di una corruzione poliziesca. Nasce da qui per Giancarlo De Cataldo una carriera di famoso letterato che lo porterà a varcare anche la soglia finalmente di una grande passione vissuta soprattutto in gioventù, quella appunto del cinema. Dice Giancarlo De Cataldo: “il cinema ha sempre nutrito il mio immaginario. Da bambino ero proprio affascinato dai film di cappa e spada, dei film di avventura, ricordo sempre con piacere quando a Bari in settembre inauguravano la fiera del Levante, perché quelli erano i giorni in cui la Rai, all’epoca c’era solo quella, mandava in onda una rassegna di film, alle undici del mattino. Ecco quello era diventato per me un appuntamento da non mancare, una occasione d’oro per conoscere il grande cinema di un tempo.  Film come I prigionieri del sogno, 1938, Julien Duvivier, La dalia azzurra, 1946, George MarshallLa fonte meravigliosa, 1959, King Vidor, i film di Vittorio De Sica del primo neorealismo come Teresa Venerdì, 1941,  Un garibaldino al convento, 1942, Sciuscià, 1946, la fiaba di Alessandro Blasetti  La corona di ferroBen Hur, 1926, di Fred Niblo li ho visti, ragazzino, attraverso quegli appuntamenti  Poi, un po’ più cresciuto, la passione per il cinema si è consolidata frequentando il cineforum gestito dai gesuiti.  Ricordo in quel periodo il film  Zabriskie Point  di  Michelangelo Antonioni come una realtà che mi ha profondamente segnato ed educato all’importanza del buon cinema. Successivamente ci furono i film di Orson WellesAkira Kurosawa, Sergio Leone, vissuti come una sorta di continuazione ideale per capire e per vivere la straordinarietà e la poesia del cinema. Poi, con sempre maggiore ingordigia, i film di  Roman PolanskyFrancis Ford CoppolaMartin ScorseseSteven SpielbergNanni Moretti”.   Ed il cinema, come anche la televisione, cioè le industrie delle immagini, successivamente, come in una sorta di complicità e di attinenza, finanche quasi a testimoniare una specie di ringraziamento in essere finiranno per attingere proprio a piene mani dalla narrativa che Giancarlo De Cataldo comincerà a produrre gradatamente.  L’esordio letterario di De Cataldo è con il romanzo  Nero come il cuore  nel 1988, ed è anche il suo primo romanzo trasportato al cinema nel 1991 dal regista Maurizio Ponzi. Dice Giancarlo De Cataldo: “fino a quel momento vivevo una fase piuttosto autoriale, le cose che avevo scritto e che leggevo andavano verso questo indirizzo esclusivo, consapevole più del fascino della parola che del racconto, avevo poi assunto piuttosto quell’aria vagamente noiosa che hanno gli intellettuali puri, e pensavo al genere letterario del noir come ad una lezione deteriore, che una persona seria non doveva assolutamente frequentare. Poi, causa un infortunio che mi costrinse per un po’ all’immobilità, cominciai, consigliato da un amico libraio, a leggere moltissimi romanzi di genere. Ed ho cominciato a capire, in quel lasso di tempo, che forse quello che volevo davvero raccontare non era un mondo interiore, ma un’avventura declinata in un modo diverso, coniugata con il realismo di un uomo che cominciava ad aprire gli occhi e cominciava davvero a capire come andavano le cose in Italia”.  Nero come il cuore dunque, l’esordio di De Cataldo nella letteratura noir è un romanzo in cui, chiuso nel genere, trattava e denunciava scottanti argomenti sociali come il razzismo e la compravendita di organi umani. Un romanzo, e poi anche un film, che contribuiranno a dimostrare quanto sterili siano state, e continuano ad esserlo le polemiche culturali, in merito al valore letterario o cinematografico dei generi.  Oggi, perlopiù, certe polemiche sembrano rientrate, ma ancora resiste qualche critico autorevole, o qualche spettatore indignato, che sputa per terra quando sente parlare, sul tappeto rosso della cultura, di arte di genere . Mah.  La bibliografia di De Cataldo, comunque, ha contribuito e contribuisce sempre più, in questo senso, a nobilitare, e con impegno e cognizione di causa, (ricordiamo che De Cataldo, in verità, oggi è un giudice di corte d’appello d’assise al Tribunale di Roma) il genere letterario, e di conseguenza cinematografico, del noir.  Ma De Cataldo non è stato certamente solo uno scrittore ed uno sceneggiatore del genere noir.  Il regista Mario Martone, ad esempio, si è affidato a lui per completare la sceneggiatura dell suo importante film sul Risorgimento Italiano,  Noi credevamo, 2010,  perché Giancarlo De Cataldo è un grande esperto ed un’appassionato di quel periodo storico Italiano e della sua produzione letteraria, tanto che ha licenziato di recente, per la casa editrice Einaudi, il suo romanzo, di natura assolutamente risorgimentale,  I traditori, 2010.  Noi ricordiamo ancora lo scalpore che il bel film di Mario  Martone  Noi credevamo ha involontariamente creato. Il film, in realtà, è stato volutamente mal distribuito per finire in fretta nel tritacarne culturale dei nostri tristi tempi, che rimangono perlopiù ancora dominati dalla cultura televisiva più evasiva e piattamente ridanciana o lacrimevole. Un film così importante, pensiamo, con una genesi lunghissima ed un impegno finanziario di grosso spessore, sei milioni di euro sostenuti tra l’altro dal comitato dei centocinquanta anni dell’Unità d’ Italia e dalla televisione di Stato, prodotto proprio per festeggiare tale ricorrenza perché è stato fatto passare sul territorio nazionale in pochissimi cinema, perché distribuito solo in trenta misere copie?  E non ci è parsa nemmeno coerente la dichiarazione giustificatrice di Rai Cinema quando ha detto:  “il problema della distribuzione è nel mercato. Che ci possiamo fare se i giovani vedono solo i cinepanettoni?”.  Ma per un film come  Noi credevamo  invece si doveva proprio osare di più, semplicemente, ed insistere fortemente anche contro il volere di chi detiene il potere del mercato. Basta solo il titolo del film,  Noi credevamo,  proprio di un valore e di una beltà assoluta, incisiva, efficace, perché proprio di questo oggi abbiamo veramente bisogno: credere sempre, ed ancora, e di più. Infine un terzo film cinematografico dalla sua collana editoriale. Lo realizza il regista  Ricky TognazziIl padre e lo straniero.  Quando il romanzo è uscito, nel 1997, De Cataldo non era ancora lo scrittore famoso che sarebbe diventato. E noi sappiamo che Ricky Tognazzi, già a suo tempo, era stato colpito da questa particolare ed intensa storia.  Il connubio di queste due realtà, la popolarità dello scrittore e la caparbietà del regista, hanno fatto concerto perché oggi esista anche il film, girato nel 2010 ed uscito piuttosto in sordina nel febbraio del 2011. Certo qui non ci sono i personaggi eclatanti del grande romanzo che verrà, qui i personaggi sono solo due padri di famiglia, un italiano ed un mediorientale, narrati e filmati in un momento decisamente particolare della loro esistenza, quella in cui si incontrano e vivono e rapportano insieme la loro comune disavventura: avere due figli disabili. Sono, il romanzo ed il film, due opere decisamente intimiste  (Giancarlo De Cataldo non aveva ancora spiccato, in questo senso, il salto totale verso il genere letterario decisamente noir),  ma il thriller, ed anche la spy story, ad un certo punto si materializza, si compone, forse si può intravedere già, anche nella specifica ambientazione romana, il richiamo a  quella letteratura di De Cataldo che verrà. Perché in questo romanzo, che rimane piuttosto un romanzo di formazione, ad un certo punto, l’amico mediorientale sparirà.  Giancarlo De Cataldo, in verità, come già detto, oggi rimane un giudice di corte di assise di appello al Tribunale di Roma, un pugliese di origine salentina trapiantato nella capitale, un uomo che, oltre  al suo serio lavoro in magistratura, alla letteratura, al cinema, ama a dismisura il mare. Con il litorale pontino poi, quello che va da Sabaudia al Circeo, che è stato l’affascinante teatro del nostro incontro, che è poi il lembo di mare molto amato anche da Pier Paolo Pasolini,  De Cataldo ci taglia ormai appuntamenti estivi da anni. Dice De Cataldo: “i lidi del Circeo e di Sabaudia, per un pugliese come me, cresciuto proprio in un mare azzurro ed anche selvaggio sono il massimo, e poi vivendo il mio tempo a Roma, li posso anche raggiungere molto facilmente”.  Ora quello che sappiamo tutti è che  Romanzo criminale  si è imposto subito sulle coscienze,  ed attraverso il cinema anche nell’immaginario collettivo. Soprattutto tra i ragazzi, anzi tra i giovanissimi è diventata un opera ricorrente, ben posizionata nelle loro identità. Dice, a questo proposito, lo scrittore Giancarlo De Cataldo: “ricordo un giovane tassinaro romano che, riconoscendomi, mi dice: “lei è quello che ha scritto Romanzo criminale, vero?”  Io annuisco, rispondo di si, e lui mi dice  “gaiardo, è uno dei due libri che ho letto in vita mia…”, a questo punto sono curioso di sapere quale altro libro lo aveva, come dire, colpito. Lui mi risponde: “è un libro che mi ha regalato la mi ragazza…” Io chiedo il titolo, lui sembra non ricordarlo, poi un flash di memoria e ribatte: Come smettere di fumare…”. Divertente aneddoto che in qualche maniera riempie di orgoglio lo scrittore. ”I ragazzi che incontro” dice De Cataldo  “alla fine concludono le loro ipotesi sul romanzo con un ricorrente  “va beh, dottò, sò criminali, ma sono proprio gaiardi…”  Giancarlo De Cataldo dice che l’idea di scrivere  Romanzo criminale  era soprattutto dettata da una esigenza, anche un tentativo di riordino della recente storia italiana, una cronaca attraversata dalle azioni dei gruppuscoli neofascisti, dai servizi segreti, dalle loggie di stato, dalle stragi, dal terrorismo, dall’offensiva mafiosa, da una tendenza culturale tendente finanche all’odio. Ed è strano, in fondo, tutto questo, anzi memore di un significato recondito, perché per Giancarlo De Cataldo, all’origine, il tentativo, in fondo, era l’idea era di scrivere un affresco storico- politico sull’ Italia degli anni settanta.  Invece, poi, la strada percorsa, squadrata, analizzata, è stata quasi come ritrovarsi ad essere il cantore estremo di una banda di delinquenti da strada, scatenati nella loro offensiva proprio per impossessarsi del potere criminale, e dunque economico, sulla città di Roma.  Oggi che De Cataldo ha sugli scaffali delle librerie il suo ultimo libro,  Io sono il  libanese, dedicato proprio al più efficace ed al più incisivo dei personaggi di Romanzo criminale,  è bello conoscere che questo secondo libro, su quel particolare mondo di criminali, è nato proprio dall’incontro con il libanese, cioè l’attore della serie Sky  Francesco Montanari,  che in un siparietto di atmosfera, quasi un gioco nato alla festa del libro di Massenzio, a Roma nell’estate del 2011, dove proprio a braccio, lo scrittore ed il suo personaggio, hanno cominciato a dialogare tra di loro. Dice De Cataldo: “si, è stato un po’ un colpo di teatro, quello di fare incontrare l’autore con il suo personaggio, il libanese, che era anche profondamente incazzato con il suo scrittore, perchè contestava il fatto che lui non era mai stato assolutamente un ragazzo di borgata, lui era della Magliana, a due passi dal centro strillava, diceva che a lui facevano proprio schifo quelli delle borgate, era poi angustiato dall’evidente accostamento con Pasolini e con i suoi ragazzi di vita, e Pasolini poi nemmeno lo conosceva e nemmeno avrebbe mai voluto conoscerlo, che mai e poi mai  avrebbe sognato di leggere i suoi libri. Ecco, in tutto questo vedevamo un interesse della gente, si divertivano anche, piaceva molto. Mai e poi mai avrei pensato, anzi lo avevo anche giurato a me stesso, di rimettere mano ai personaggi di  Romanzo criminale, ormai mi ero messo a scrivere di altro, appunto di Risorgimento, di giustizia, di India. Poi l’idea del raccontare questa introspezione quasi, del delinquente, ha cominciato proprio ad affascinarmi. E ci sono cascato.”  Un richiamo quindi alle atmosfere di Romanzo criminale, forse anche un racconto parallelo questo nuovo successo editoriale di De Cataldo, al quale auspichiamo davvero un ritorno anche con le immagini cinematografiche, la nostra mente già corre per la regia al perfetto  Francis Ford Coppola, autore dei meravigliosi  I ragazzi della 56a strada, 1983,  Rusty il selvaggio, 1983,  e non solo.   Al termine, una domanda diretta allo scrittore: Romanzo criminale: è preferibile, dal suo punto di vista, il film di Placido o la serie televisiva di Sollima?  Risponde Giancarlo De Cataldo:  “dico la serie televisiva. Ma solo perché l’ aderenza al romanzo è più completa. Sollima ha avuto a disposizione due serie, per una durata complessiva di venti ore di girato. Le sfaccettature quindi di tutti i caratteri dei tanti personaggi del romanzo, che non nascondo essere davvero torrenziale, venivano rese con piglio decisamente preciso. Voglio dire anche, poi, che il lavoro di Sollima è, in verità, grande cinema, cinema puro anche se è stato girato per la televisione. Ho visto le venti ore montate in sequenza al cinema e ve lo posso assicurare.  Condensare invece più di seicento pagine, seicentoventinove per l’esattezza, in un lasso di tempo di centocinquanta minuti, che è la durata del film di Placido, ha provocato una scrematura enorme per gli sceneggiatori, Sandro Petraglia e Stefano Rulli, e poi anche per me e per Placido, collaboratori alla stesura, anche se il mio apporto, devo dire, al film, è stato piuttosto sullo sfondo”.  E dire che centocinquanta minuti, oggi, per un film che esce nelle sale, è un tempo di tutto rispetto, perché, per modalità esclusivamente commerciali, ovvero per vendere più biglietti, si tende da tempo di fare durare i film non più dei canonici cento-centodieci minuti, questo perché deve consentire all’esercente una proiezione quotidiana in più. Dice De Cataldo: “ricordo anche, ai tempi della lavorazione del film di Placido, pazzesche guerre produttive per sovvertire tali convinzioni, ma niente da fare, la produzione spiegava che una sala commerciale non accoglie più con facilità  film che durano più delle canoniche due ore.  Nemmeno Bernardo Bertolucci riesce da anni a fare un film che superi le due ore, già dal superlativo  L’ultimo imperatore, 1987. Ed i tempi gloriosi di Sergio Leone, che realizzava film che non duravano mai meno di centosettanta minuti, ormai, sono solo dei ricordi lontanissimi. Ma questo è il mero mercato del cinema, oggi, dove anche vedere un film vietato ai minori di anni 18  (probabilmente in questa assenza è in atto, inesorabilmente, persino una censura d’autore)  è diventata una utopia. Questo perché un film con divieto ai minori di diciotto anni difficilmente potrà avere una vita commerciale in televisione.

Giovanni Berardi 

Una chiacchierata tra amici con Giancarlo De Cataldo.
Scritto da il ott 15 2012. Registrato sotto DA UOMO A UOMO, TAXI DRIVERS CONSIGLIA. Puoi seguire la discussione attraverso RSS 2.0. Puoi lasciare un commento o seguire la discussione

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