Magazine Africa

Una Chiesa con la gente per custodire e accrescere l'apporto del Vaticano II

Creato il 19 marzo 2013 da Marianna06

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Le dimissioni di Benedetto XVI hanno fatto centro pure in Tanzania.

Rappresentano certamente una sfida. Una provocazione salutare.

È risaputa l’importanza dell’“inculturazione” in Africa, cioè del sapersi calare nel contesto socio-religioso di un popolo, per parlare, ragionare e agire secondo le categorie mentali locali.

Tuttavia, talora, la cultura locale (usi, costumi, atteggiamenti, scelte) necessita di una ventata fresca di rinnovamento, per non dire rivoluzione. Perché sovente cultura e inculturazione fanno il gioco dei padroni, ossia dei capi in autorità.

In Africa circolano due detti che legittimano l’intangibilità di quanti gestiscono il potere.

1.“Il capo non chiede il permesso”. Quindi il boss ha mano libera su tutto e tutti.

Ad esempio: il 4 marzo scorso, in Kenya, il 50,07 per cento del popolo ha votato ed eletto presidente Uhuru Kenyatta. Costui, però, è accusato dalla Corte internazionale dei diritti umani di crimini contro l’umanità, avendo istigato la violenza che, nelle elezione del 2007, provocò danni ingenti e circa 1.200 vittime. Tuttavia l’imputato si è autoassolto, perché scelto dal popolo, specialmente dalla tribù dei Kikuyu, in un paese dove il tribalismo pesa. E poi: il capoccia chiede forse il permesso?

2. Il secondo detto recita: “Il capo, se sbaglia, non sbaglia. Soltanto dimentica...”.

è un modo spudorato per avallare tutte le malefatte dei prepotenti.

Riconoscere i propri errori e dimettersi? Neanche per sogno.

 

Nella storia dell’Africa del post-indipendenza solo due presidenti hanno rinunciato spontaneamente al potere, senza essere stati scalzati dagli eventi: Léopold S. Senghor (Senegal) e Julius K. Nyerere (Tanzania), che liberamente passarono la mano rispettivamente nel 1980 e nel 1985.

Ebbene, nel contesto africano (ma non solo), le dimissioni di Benedetto XVI sono un pugno nello stomaco per i tantissimi ancora tenacemente e morbosamente ancorati al potere.

Sono capi che non chiedono il permesso a nessuno.

Nel mio paese natale Falzè di Trevignano (TV), negli anni 50 del 1900, sul muro esterno di una casa si leggeva: il duce ha sempre ragione. Troppi ci credono ancora.

Le ultime elezioni italiane lo confermano.

 

Alle dimissioni di Benedetto XVI la rivista swahili “Enendeni” (dei missionari della Consolata in Tanzania) ha dedicato l’editoriale di marzo-aprile 2013. La decisione di papa Ratzinger - vi si legge - è un esempio da imitare anche da parte dei leaders religiosi, per non parlare di quelli politici. Sono ancora molti i capi che succhiano il sangue della gente, affamati e assettati di prestigio, potere e denaro. “Enendeni” scrive ancora: “Papa Benedetto ha aperto il solco di una nuova cultura: la cultura delle libere dimissioni”.

E papa Francesco? Pure lui ha scompigliato le carte del gioco, infrangendo alcune regole stantie. Un vescovo del Tanzania, preoccupato, ha affermato: sarà meglio che questo nuovo papa, prima di presentarsi in pubblico, si rilegga il manuale delle cerimonie.

Ma la gente ride beata e si diverte. L’africano anela al divertimento, alla risata, alla “furaha” (gioia).

Nel presente “anno della fede”, ad esempio, colpisce come il popolo cristiano accolga gioiosamente la croce, pellegrina da una comunità all’altra, simbolo della sofferenza: trasforma l’evento in una fede che danza.

Perché quel povero Cristo in croce è rimasto solo poche ore.

Ed esplode la Pasqua tra un concerto di campane.

 

Francesco Bernardi,

direttore di “Enendeni”

 

Nella foto: la copertina della rivista “Enendeni”, Marzo-Aprile 2013.

Un gruppo di cattolici di Ubungo (Dar Es Salaam) portano esultanti la croce.

 

   a cura di Marianna Micheluzzi (Ukundimana)


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