Una città o l'altra / Bill Bryson; trad. di Silvia Cosimini, Sonia Pendola e Giorgio Rinaldi. Milano: TEA, 2004.
Ci ho messo una vita a leggere questo libro. E non perché sia brutto, ma solo perché ha seguito il destino di quei libri iniziati nel momento sbagliato (alla fine di una vacanza), quelli che ci si incaponisce a finire, anche se poi li si legge in maniera talmente frammentaria da perdere il piacere della lettura.
E dire che si tratta di un libro molto brillante e divertente, come spesso accade per i libri di Bryson. Un libro di viaggi, in cui l'autore racconta di un suo viaggio attraverso l'Europa che ricalca in parte il percorso fatto decenni prima - quando era giovane - insieme all'amico Katz (viaggio del quale pure vengono raccontati gli episodi più esilaranti).
L'occasione è ghiotta non solo per raccontare bellezze e curiosità delle città europee, ma anche per ridere delle idiosincrasie e di alcune caratteristiche proprie delle diverse culture e dei diversi popoli. Devo dire che, in certi passaggi, non si può fare a meno di concordare con Bryson e di riconoscersi nelle sue considerazioni rispetto a realtà con cui siamo venuti a contatto. La cosa buffa però è che quando Bryson parla del nostro paese e delle caratteristiche di noi italiani e della nostra cultura quello che dice ci sembra (chissà come mai! ;-) ) stereotipato e frutto di una lettura alquanto superficiale, tanto che non possiamo fare a meno di pensare "Che vuoi che ne sappia un americano trapiantato in Inghilterra?".
Insomma, il libro è divertente, anche se un po' frammentario e in certi passaggi non del tutto lineare, e anche in qualche modo istruttivo, perché l'ironia che lo pervade ci costringe all'autoironia, e questo è un grande merito.
In generale, devo dire che la prima parte - quella sull'Europa settentrionale e occidentale - mi ha preso e divertito di più, forse perché sono luoghi che conosco maggiormente e dunque posso cogliere i riferimenti di Bryson, sia quelli con cui sono d'accordo sia quelli che invece mi vedono su posizioni diverse. La parte dedicata all'Europa dell'Est l'ho trovata invece un po' meno brillante o forse per me meno comprensibile; tra l'altro il giudizio tendenzialmente negativo su Istanbul mi ha lasciato un po' di amaro in bocca, visto che si tratta di una delle città che più mi è rimasta nel cuore.
Certo, rispetto ai classici libri di viaggi - di solito noiosissimi - in questo caso vi assicuro che non solo non vi annoierete ma vi verrà voglia di partire immediatamente, e magari proprio accompagnati da Bill. Se non fosse che la sua sostanziale incapacità di apprezzare realmente il buon cibo e di esplorare le abitudini culinarie locali a me personalmente creerebbe non pochi problemi di convivenza ;-)