Una classe difficile – Giulia Bozzola

Creato il 09 ottobre 2012 da Viadeiserpenti @viadeiserpenti

Un’insegnante precaria, Greta, ottiene un incarico annuale in una piccola località di montagna vicino Pordenone. La accolgono le attenzioni di gente semplice abituata da secoli a farsi forza negli inverni desolati, nelle stagioni che si susseguono a un ritmo fin troppo familiare. I ragazzi sfogano a scuola l’amarezza e l’angoscia di sentirsi senza futuro per via di un orizzonte troppo limitato.

«Strappò un filo d’erba da terra, lo mise in bocca. Mi sedetti anch’io. La pozza d’acqua sotto di noi era verde e profonda. Si vedevano le schiene delle trote che nuotavano tra i sassi.
“Mio fra-fratello si butta anche da qui”.
“E tu cosa fai quando vieni qui?”, chiesi.
“Sto qui e basta. Guardo”. Alzò le spalle.
“E un giorno mi butto anch’io”, aggiunse.
“È una mania”.
“ Dai, proffe”, disse. Restammo per un po’ in silenzio. La luce andava e veniva dalla riva. I sassi bianchi erano abbacinanti, quando il sole li colpiva. I salici dondolavano molli sotto di noi».

Gli insegnanti sembrano mettere in scena uno spettacolo anacronistico con costumi raccattati fra gli stracci, in alcuni casi troppo vistosi, con colori troppo sgargianti, invadenti; a volte scoloriti, smunti da anni e anni di rassegnazione a un ruolo troppo spesso sterile, quasi grottesco. Un’allegria recuperata chissà dove, forzata alla goliardia, li fa ritrovare in pranzi e cene da cui Greta ha spesso voglia di scappare, ma senza troppa energia nel dissenso; gli altri trascinano il tempo come consumano sigarette, bevendo il vino dei soliti discorsi.
Adulti e ragazzi vivono come in una bolla prima che scoppi. Non succede niente, anche se dell’esplosione si sentono già i segnali: un ragazzo sarà ucciso, verrà aperta un’indagine giudiziaria destinata a naufragare nel silenzio complice di un intero paese. La verità è seppellita negli occhi di chi ha visto ma non può parlare.
Come spesso succede, il dolore è muto, i drammi scolpiscono le ferite rivelandosi solo all’improvviso, in tempi e in luoghi inaspettati.

 « “Ma lo sai che io vivo con questo imbecille di bambino morto tutti i giorni? Tu non ce l’hai mica un bel bambino morto a casa, uno che sa fare le cose che tu non sai fare. Tu ce l’hai un fratello morto che è bello? Tu ce l’hai un fratello morto che fa i compiti? Ce l’hai un fratello morto che è ordinato, silenzioso, ubbidiente? Ce l’hai?”. Maria tremava. Montasio afferrò il banco di Maria con le mani, lo alzò fin sopra la testa. “Brutto stronzo. Ha fatto tutto in una settimana!”, urlò. Poi lasciò cadere il banco sul pavimento. Ci fu un rumore terribile. La foto scivolò per terra con un fruscio. Si voltò verso di me. Era viola in faccia, ansimava.»

Ciò che affeziona nel romanzo di Giulia Bozzola non è tanto la suspense per il mistero irrisolto dell’omicidio, quanto il senso di solitaria mancanza dipinto sui volti. Tutti sembrano aver perduto qualcosa per sempre. Anche il presente sembra vissuto già con il rimpianto di un’occasione mancata.
Certe volte a scuola si alza un coro di voci, come una piena di scontento che sembra sbeffeggiare chiunque tenti di costituire un ordine, anche posticcio, laddove è più forte lo sfogo che qualsiasi regola, minaccia, o virtù preconfezionata.
Lo stile del romanzo rappresenta agilmente con un tono dimesso e malinconico la cupezza di alcuni dialoghi e situazioni, con vivacità estrema e genuino colore locale le scene corali e l’incessante movimento della vita scolastica:

« “Mi sta sulle balle, proffe”, piagnucolava. Sembrava si dovesse mettere a piangere. Poi scoppiava a ridere: “Favolosaporosacompatta!”, urlava. Era un urlo pieno, la sua voce riempiva la stanza. Batteva le mani, mi guardava.
“Occhei proffe, ho capito, è ora di finirla”, diceva.
Passava davanti a Francesco Rorai, gli dava un ultimo sberlone. Si andava a sedere al suo posto. Cominciava di nuovo sottovoce: “Cuuuui si frea! Cuuui si frea!”.
Poi la voce saliva di nuovo: “Cuuui…”.
E il resto della classe finiva: “Si frea!”.
Di nuovo, e ancora sempre più forte. Diventava tutto rosso, alzava il banco. “Cuuuui si frea!”, sbraitava a pieni polmoni. Poi il tavolo cadeva per terra, c’era il fracasso finale. Montasio era sudato. Mi guardava, ansimando.
“Proffe”, diceva, “cosa facciamo adesso?”.
“Un esercizio”.
“Fantastico, è quello che ci vuole”, concludeva».

Nota sull’autore
Giulia Bozzola vive a Cordenons (PN), insegna Lingua e Civiltà inglese al liceo scientifico. Una classe difficile è il suo primo romanzo.

Per approfondire:
leggi la recensione di Matteo Giancotti sulla Lettura
leggi la recensione su panorama.it
leggi la recensione sul Messaggero Veneto


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