Ai corsi HACCP si insegna a mettere il frigo da 0 a 4 gradi, a lavare le uova solo in caso di alluvione eccetera. E’ un’esperienza formativa quanto girarsi attentamente i pollici. L’industria della prevenzione, che nei corsi HACCP tocca uno dei suoi apici, oltre a garantire stipendi a biologi che insegnano come conservare prodotti agricoli senza aver mai zappato la terra (perché “i prodotti industriali sono più sicuri”), non tengono conto di una serie di fattori. Il primo e l’unico serio che enuncerò è la mole di studi che dimostra i benefici immunologici dovuti all’esposizione moderata ad agenti batterici. Ma soprattutto e ben più grave, non tengono conto dei benefici indiretti nel leccarsi le dita dopo aver preparato un dolce alla crema, di come secondo i loro precetti la generazione dei nostri bisnonni dovrebbe esser stata sterminata a causa della cattiva conservazione degli alimenti (e invece, toh guarda, sono sopravvissuti a questo e a due guerre mondiali) e soprattutto di come da quando è iniziato il corso brami di nuovo una palak pakora così come viene servita nelle baracchine marce delle strade trite delle città indiane: avvolta tra due pagine di quotidiano locale, preparato a mo’ di cono con la salsa in fondo che si mischia ai caratteri di stampa e la glassa che si contamina con le notizie di cronaca. La prima lezione del corso è iniziata con la docente che ci raccontava come l’HACCP sia stato inaugurato dalla NASA per far fronte alla prima missione umana nello spazio. Mi veniva voglia di risponderle che alla luna preferisco una palak pakora untissima. Nella foto: un migliaio di tenerissimi agenti patogeni nel posto dove ho mangiato la miglior palak pakora della mia vita.
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