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“Una diga sul Pacifico" di Marguerite Duras, il romanzo delle origini

Creato il 13 luglio 2013 da Postpopuli @PostPopuli

 di Maria Gilli

Nella primavera del 1950, con la pubblicazione del romanzo “Una diga sul Pacifico”, Marguerite Duras fa il suo ingresso nel mondo della letteratura e il libro suscita così vivo interesse da essere selezionato per il “Goncourt”, il prestigioso premio francese. La denuncia violenta del colonialismo, l’immagine anticonvenzionale della madre, la forza espressiva della scrittura sono  gli elementi principali che hanno destata l’attenzione della critica.

marguerite duras 324x400 UNA DIGA SUL PACIFICO DI MARGUERITE DURAS, IL ROMANZO DELLE ORIGINI

Marguerite Duras – da ilmestierediscrivere.wordpress.com

La storia si svolge alla fine degli anni venti, in un angolo dell’Indocina coloniale, nella pianura di Kam. Una maestra di scuola francese, rimasta vedova con due figli, Joseph e Suzanne, investe i suoi risparmi, faticosamente guadagnati nel corso di quindici anni, in una concessione che ha comprato presso gli agenti del catasto di Kam per trasformarla in una ricca piantagione. Ma si è dimenticata di dare loro, sotto banco, l’abituale  “bustarella”, e gli agenti le assegnano un terreno vicino all’oceano Pacifico che, regolarmente inondato dal mare al momento delle grandi maree, viene desertificato dal sale. La madre non si arrende e intraprende, con l’aiuto degli indigeni della pianura, la costruzione di una grande diga, la quale dovrebbe bloccare l’irrompere delle acque. Purtroppo, la diga costruita con rami di paletuvieri e fango secco non resiste all’assalto della grande marea e crolla nel giro di poche ore. La famiglia, definitivamente rovinata, è condannata  alla miseria. Tuttavia, l’incontro casuale, alla mensa di Ram – luogo di raduno degli abitanti della pianura – con il ricchissimo M. Jo, il quale s’innamora subito di Suzanne, sembra aprire una via d’uscita: costui incomincia a frequentare regolarmente la famiglia e la madre, sfruttando quelle visite che dichiara compromettenti, esige il matrimonio e gli pone un ultimatum di otto giorni. M. Jo non declina apertamente l’invito, ma, in realtà, non ha nessuna intenzione di sposare Suzanne – egli ha troppa paura di suo padre – e le regala un bel vestito, un fonografo, un diamante, quel diamante che diventa allora il miraggio di tutte “le possibilità di scambio…  promesse vertiginose di denaro”.

Marguerite Duras, nata a Saigon nel 1914, ha vissuto la sua infanzia e la sua adolescenza nell’Indocina francese e descrive una realtà che conosce bene. Infatti il suo romanzo viene letto come una testimonianza sul sistema coloniale, tanto più scottante in quanto l’anno in cui viene pubblicato è l’anno in cui la Francia sprofonda nella guerra d’Indocina: “è un documento diretto … su un aspetto poco conosciuto della vita coloniale… è una cosa vista, una realtà sociale autentica” scrive il critico Jean Blanzat sul  “Figaro Littéraire”.

La denuncia del colonialismo è senz’altro molto forte e sono tante le tematiche affrontate. Il vampirismo coloniale è evocato a più riprese e assume tanti aspetti diversi: la ricchezza dei coloni è fondata sullo sfruttamento spietato degli indigeni, Il lattice colava. Il sangue anche. Ma solo il lattice era prezioso, raccolto, e, raccolto, pagava. Il sangue si perdeva…”, oppure sulla speculazione,il padre di M. Jo è uno speculatore ricchissimo la cui fortuna era un modello di fortuna coloniale… Aveva fatto costruire  case a basso costo, i cosiddetti scompartimenti per indigeni contigui… e che si prestavano molto bene alla propagazione della peste e del colera…”.   La corruzione amministrativa è rappresentata dagli agenti del catasto che raggirano e derubano i coloni poveri ai quali vendono a prezzo d’oro concessioni che sanno incoltivabili. La madre è soltanto una delle loro vittime, e quella politica dell’inganno è resa ancora più palese dal contrasto fra i manifesti della propaganda coloniale – l’immagine idilliaca di una coppia occidentale che si riposa in rocking chair  all’ombra dei banani, circondata da indigeni sorridenti e indaffarati – e la madre invecchiata prima del tempo, logorata dalla fatica, dalle disgrazie e dagli stenti.

La separazione razziale costituisce un’altra faccia di questo odioso sistema: la struttura della Città,  “la Ville”, tagliata in due, è chiaramente delineata in termini di opposizione: “c’erano due città in questa città, la bianca e l’altra”,  la città alta e la città bassa; la città arieggiata, pulita, fiorita, e la città polverosa, sporca, sordida: l’unico punto d’incontro è costituito dai  “camerieri travestiti da bianchi con i loro smocking” e le loro divise da lavoro.  Sono tutti esempi che mostrano quanto fosse profonda l’avversione di Marguerite Duras per il colonialismo, ma nessuno è mai così sconvolgente come il tema dei bambini:  “C’erano molti bambini nella pianura. Era una specie di calamità… arrivavano ogni anno, come una grande marea, regolarmente,… ad un ritmo vegetale… nascevano sempre con accanimento…  e ne morivano così tanti che non li piangevano neanche più …”. Questi bambini, troppo numerosi, morivano per la fame e  “soprattutto per il colera che dava il mango verde…  Altri morivano d’insolazione, dei vermi che li soffocavano… della malaria …  Ed era sì necessario che morissero…  [ perché ] la pianura era stretta… e troppe le bocche dei bambini aperte sulla fame”. Il motivo dei bambini, della loro fame, del loro brulichìo poiché  “la fame non impedisce ai bambini di giocare”, della loro morte, percorre, sconvolgente, scandaloso, tutto il libro ed è con l’evocazione struggente della loro voglia di vivere che si chiude il romanzo:  “ La notte era venuta… i bambini erano andati via insieme al sole. Si  sentivano i loro dolci pigolii uscire dalle capanne” .

C’è coincidenza fra lo spazio geografico del romanzo e i luoghi dell’infanzia di Marguerite Duras, c’è anche coincidenza fra la storia raccontata nella “Diga sul Pacifico” e l’avventura famigliare della scrittrice:  anche la madre di Marguerite Duras era maestra di scuola, anche lei era rimasta vedova con figli piccoli, anche lei aveva comprato una concessione incoltivabile, ma  è solamente alla lettura delle opere successive, “L’Amante” in particolare,  che è stata percepita la dimensione autobiografica del libro. Sono trascorsi più di trent’anni, eppure L’Amante  - pubblicato nel 1984 e primo scritto dichiaratamente autobiografico di Marguerite Duras  –  rinvia direttamente a  Una diga sul Pacifico: lei stessa sottolinea la continuità fra i due libri,  “La storia di tutta una parte della mia gioventù l’ho già più o meno scritta”; precisa alcuni dettagli, ne rettifica altri “Non è alla mensa di Réam, vedete, come lo avevo scritto, che io incontro l’uomo ricco della limousine nera, è dopo l’abbandono della concessione, due o tre anni dopo, sul traghetto…”. L’incontro con l’amante cinese non è senza rammentare l’incontro con M. Jo: ciò che prima di tutto colpisce è la limousine –  la Léon Bollet -, sono i segni esteriori della ricchezza. L’atteggiamento sprezzante, insultante, dei fratelli nei confronti dell’amante cinese, “i miei fratelli non gli rivolgeranno mai la parola, come se fosse invisibile…”,  è anche quello di Joseph nei confronti di M. Jo, “Joseph non salutava mai M. Jo… e da quel giorno, non [ gli ] rivolse più la parola. Quanto a M. Jo, dal momento che aveva dato il fonografo, esisteva ancora meno di prima…”. Tale atteggiamento  sembra conferire  al gruppo famigliare una certa coesione, ma, in realtà, la famiglia è il luogo delle tensioni più violenti, dei sentimenti esacerbati, dell’amore-odio verso la madre, e Marguerite Duras, ne L’Amante, tenta di chiarire questa dinamica conflittuale:  “credo di avere parlato del nostro amore per nostra madre, ma non so se ho parlato dell’odio… una storia fatta di amore e di odio… scatti di collera, cupa, omicida, che si vedono solo nei fratelli, nelle sorelle, nelle madri… “. La madre è al centro di tutto ed è lei che tiene unito, intorno a sé, il gruppo famigliare. E’ una figura fortemente ambivalente. E’ la madre che nutre, che procura il cibo ed è felice quando i figli mangiano di gusto, “i momenti in cui i suoi figli si nutrivano  trovavano sempre la madre indulgente e paziente…”; è la madre che ama, ama i figli, ama i bambini e prova dolore per i bambini della pianura.  Ma è anche una madre aggressiva, brutale, che picchia la figlia: ormai  “la madre picchiava Suzanne molto più spesso di prima…  si era buttata su di lei e l’aveva picchiata con tutta la forza dei suoi pugni… per due ore… “. E’ una madre devastatrice, che ha sacrificato i figli ai suoi sogni di ricchezza, alla sua ostinazione, ai suoi “conti da vecchia pazza” come dice Joseph, e che ha trasmesso loro la sua disperazione. Per emanciparsi da questa madre dominatrice, ricattatrice, i figli dovrebbero andarsene lontano, così almeno suggerisce Carmen, l’amica alla quale Suzanne si è confidata, perché altrimenti rischiano, per consolarla delle sue disgrazie, di non lasciarla mai, di piegarsi alle sue volontà, di lasciarsi divorare da lei“. Ma non è facile.

Una diga sul Pacifico è un romanzo intenso, appassionante, dalla straordinaria ricchezza tematica. La scrittura è originale, forte, efficace, a volte triviale, a volte brutale, e di grande potenza visiva, quasi visionaria. Marguerite Duras diceva di avere una certa tenerezza per questo libro e che “sarebbe stato comunque necessario incominciare con “Una diga sul Pacifico” e proseguire, dopo, a zigzag“. E difatti, con questo bellissimo romanzo di esordio, incomincia a raccontare la storia della madre, l’infinita storia che continuerà a scrivere e riscrivere per tutta la vita, da L’Eden Cinema, a  L’Amante, a  L’Amante della Cina del Nord.

 

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