Forse lunedì ci sarà un’Europa diversa. Non la tempesta che dovrebbe spazzare via euro burocrati ottusi, gauleiter della Merkel, troike di banchieri ed Fmi e tutta la truppaglia che ha dato l’assalto al modello sociale europeo, ma un vento diverso e teso destinato a mettere in crisi il pensiero unico e le sue interpretazioni. La settimana più densa di elezioni da un bel po’ di tempo a questa parte avrà un l’effetto di un lievito che bisognerà coltivare.
La corsa è già cominciata giovedì con le elezioni comunali in Gran Bretagna, segnando la straordinaria rimonta del Labour che rispettto alle amministrave precedenti ha guadagnato il il 16% mentre i conservatori scendono del 9% e i libdem dell’ 8%. Su proiezione nazionale, che considerato il sistema inglese, ha molto più senso che da noi, i laburisti sono al 38%, i Tories al 31 e i libdem al 16. Ma a livello di seggi conquistati nei 180 comuni il labour arriva a 2150, i conservatori a meno della metà, 999 e i lib dem a 410: una catastrofe di cui tuttavia la stampa italiana, per qualche motivo, è reticente a parlare, contrapponendo a queste cifre, peraltro spesso non date, con la permanenza di Londra in mano al conservatore Boris Johnson. Ma è una vittoria di Pirro, con un distacco minimo e ottenuta anche grazie al fatto che il callido Boris ha preso una netta distanza dal permier Cameron.
Domani poi è molto probabile che la signora Merkel perda il suo socio Sarokzy, sfacciatamente utilizzato per nascondere che l’austerità di Berlino conviene a breve termine solo a un Paese dell’Europa, guarda caso la Germania.
E infine c’è la Grecia, il paese travolto e massacrato dal ricettario della finanza dove c’è una situazione complessa e forse più riferibile a noi. L’acquiescenza dei socialisti del Pasok ai diktat di Bruxelles e Bce ha diviso la sinistra in tre tronconi non distanti fra di loro come consistenza, almeno secondo gli ultimi sondaggi: il Pasok al 14%, Syriza, la sinistra radicale al 13% , comunisti e sinistra democratica all’ 12% più il 3% dei verdi. La destra vede invece Nea Demokratia al 19%, i nazionalisti all’11% e i neonazisti di Alba Dorata al 5% e il Laos al 3%.La tendenza dell’elettorato è dunque più orientata a sinistra, ma senza un partito leader. E questo significa due cose: che è in vista una nuova coalizione tra Nea Demokratia e Pasok, ma anche una crescita tumultuosa delle estreme che non ne vogliono proprio più sapere dell’Europa. Una situazione esplosiva che dovrebbe far riflettere più di uno sulle conseguenze a cui portano alla lunga le alleanze innaturali.
Qualcosa che forse si vedrà anche in Italia nel parziale test amministrativo che è arrivato in mezzo al marasma tragicomico della politica chiaramente incapace di riformare se stessa e impelagata tra lauree albanesi, diamanti, fondazioni, lolite e completamente incapace di porre un argine alla catastrofe dei professori. Incapace di governare, ma spasmodicamente tesa a governicchiare per mantenere le sue prebende e i suoi privilegi.
Ma non c’è dubbio che una vittoria di Hollande in Francia unita ai disastri inglesi e alla sempre maggiore consapevolezza di aver imboccato un sentiero il cui sbocco ha di comune solo il declino, saranno il segnale del contrordine continentale e forse permetteranno di aprire uno spazio mentale a un ripensamento e una rifondazione delle forze che si dichiarano progressiste, giunte ormai al lumicino del loro senso. Che non si tema più di parlare di diritti e di welfare come se fossero una bestemmia e comunque una concessione, che non ci si faccia più infinocchiare da risibili teoremi e al tempo stesso intrappolare da una concretezza fasulla i cui frutti sono sotto gli occhi di tutti.