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Una doppietta è per sempre.

Da Pinocchio Non C'è Più

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Io non sono un patito di auto, non ho conoscenze tecnoche particolari e se apro il cofano non riesco a distinguere lo spinterogeno dal motorino di avviamento, per dire. Quando si ferma il motore l’unica cosa che riesco a fare decentemente è spingere. Non sono aggiornato sugli ultimissimi modelli in uscita e comprerò quattroruote al massimo due volte l’anno, infine non sono uno di quelli che si è rotolato per terra quando ho appreso la notizia che quest’anno il Motor Show non si farà, mi dispiace molto di più per le gnocche che per le auto.

Però il mio lato sentimentale prima o poi spunta fuori e se faccio una velocissima carrellata non posso non ammettere che ogni auto che ho posseduto (nel senso di guidato, per ora riesco a trattenermi dal fare cose contro natura con tubi di scappamento) hanno segnato un passaggio importante della mia vita.

La prima in assoluto fu l’auto dello zio Piero. Una vecchia 127, il colore vero non l’ho mai saputo, era completamente rugginosa, la teneva parcheggiata nel fienile e con un altro paio di ragazzetti ci divertivamo a viaggiare con la fantasia, aveva i cuscini di pelle di vacca e se sterzavi troppo veloce il volante ti rimaneva in mano, sui sedili posteriori ci facevano bisboccia le galline. Era un viaggio immaginario senza marce e senza fari, coi Black Sabbat e qualche sigaretta, gli adesivi sul cruscotto, sant’Antonio e i Rolling Stones, Padre Pio e i Ramones. Sognavamo pensando: “quale vita ci aspetterà in fondo al prato, quando apriremo il cancello, che strada faremo e che macchina lucida e chissà chi avremo seduto sul sedile qui di fianco”. Era la fine degli anni ottanta e sui muri non c’erano scritte di morte ma “Francesco ama Chiara”.

Invece la prima automobile “vera”, che si metteva in moto e caminava, per intenderci, è stata la mitica 500, non quella di oggi da fighetti, ma quella con il motore dietro al sedile, quella che per fare rifornimento dovevi aprire il cofano davanti, quella che se non facevi “la doppietta” emetteva una grattata del cambio che si giravano tutti per strada e poi c’era sempre il buontempone che sghignazzando gridava “hai cambiato?” e tu che dentro al tuo misero abitacolo rispondevi in un livornese stretto “no, sto sempre col tegame di tu’ ma’” (la traduzione la potete trovare sul dizionario Zanichelli “dall’italiano al labronico”). Ecco, quella. Mi era stata regalata da un parente che neanche conoscevo, probabilmente aveva commesso qualche crimine e la mia famiglia lo stava ricattando, altrimenti non si spiega il folle dono, certo, è anche vero che si sta parlando del 1994 e l’auto in questione aveva già un venticinquina di anni, comunque chissenefrega adesso era mia. Beveva come un alcolizzato il giorno della vendemmia ed era di un improbabile color salmone. In realtà non era uscita così dalla fabbrica, il colore originale della carrozzeria era un celestino chiaro, ma i segni del tempo erano decisamenti evidenti. Un giorno mio padre comprò la tinta per verniciare la caldaia a legna del garage, ma abbondò con la quantità dei barattoli, e siccome in casa dei miei genitori non si buttava via mai niente, lui si fece prendere la mano dal pennello e la mia 500 dal quel giorno divenne dello stesso colore….della caldaia, appunto. Tanto che spesso aprivo lo sportello e buttavo sul sedile una fascina di legna, per fortuna mi sono sempre fermato un attimo prima di accendere il fiammifero. Ah dimenticavo, lei si chiamava Paolina. (L’auto intendo, la lei “umana” forse Michela…sinceramente non ricordo)

Poi fu la volta di Camilla. Una Panda 1000 rossa fiammante, la mia prima vera auto nuova!!! L’auto della mia adolescenza e anche un po’ oltre. Aveva il cambio sincronizzato, ma io riuscivo a “grattare” ugualmente perchè insistevo nel fare la doppietta, eccheccazzo, ormai avevo imparato e non volevo smettere più. Quella è stata l’auto del primo tamponamento, del primo viaggio LivornoFirenze tutto in superstrada e tutto in quarta marcia perchè nessuno mi aveva avvisato che oltre a quella c’era pure la quinta, del primo cannone, della prima multa perchè facevamo i “freni a mano” nel parcheggio della stazione, della prima volta che marinai la scuola, del primo pugno preso e del primo bacio dato …si si lo so dove volete andare a parare, si ok, è stata pure l’auto della “prima volta” che non sto qui a descrivere ma non potete immaginare che testata detti al vetro dello sportello posteriore nel momento in cui scoprii che aveva i sedili ribaltabili. (tutti optional che sulla Paolina te li sognavi e basta). Ammetto che in quel periodo ci furono almeno tre “lei umane”, che detto così sembra un discreto risultato, ma se lo spalmiamo in sette anni già si ridimensiona.

Ecco da lì in poi ne ho cambiate altre quattro (di auto), sono cresciuto (più che altro di peso) e ho smesso di battezzarle con nome di donne…e infatti ho smesso pure di cambiare donne. Però ogni tanto “una doppietta”, così per sfizio me la faccio ancora, perchè sarebbe bello qualche volta poter prendere la vita in terza-frizione-folle-colpo di accelleratore-frizione-quarta e via così.

Mio padre ha cambiato la caldaia, adesso è bianca e va a metano, la mia auto invece è nera e va a GPL, ultimamamente deve aver dato una mano di vernice al pannello del termostato. Ieri sono stato a casa sua e c’era una bici bianca, un paio di sedie di cucina bianche, i cuscini del divano bianchi e anche il cane mi sembrava leggermente più candido…ma forse lui era semplicemente lavato.



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