Una favola imperfetta: il "sogno" di carlo cecchi
Creato il 25 gennaio 2011 da Valed @valentinadoatiLa commedia forse più fresca di Shakespeare riflette la freschezza della generazione che la anima (i giovani innamorati) e la freschezza della giovanissima generazione di attori che la interpreta. Lo spettacolo è nato come approfondimento del saggio di fine corso della classe di attori diplomatisi all'Accademia Silvio D'Amico nel 2009. Già allora la regia fu affidata a Carlo Cecchi, che decise poi di proseguire il lavoro con questo gruppo e costruire uno spettacolo che è stato presentato al Festival dei Due Mondi di Spoleto. Al Teatro Franco Parenti arriva sconvolgendo il foyer, che per l'occasione si chiude trasformandosi in una sala: anche il luogo, così informale, conferisce un piacevole carattere di freschezza nell'utilizzo disinvolto degli ingressi, coerenti ma variati e dinamici. Tutta questa freschezza non si riflette, purtroppo, nella regia. Oltre a non presentare nessuna idea illuminata intorno ai tanti spunti che l'opera propone, non aggiunge niente all'intento dimostrativo della formula del saggio di chiusura, e nemmeno alla recitazone dei ragazzi. Troppa maniera, la recitazione troppo aspirata, e pochi talenti emergenti fanno di questo spettacolo una simpatica feerie, niente di più. Da un maestro dell'innovazione come Cecchi ci si sarebbe aspettati qualche rischio in più, legittimato anche dal materiale attoriale ancora acerbo con cui ha lavorato. Sicuramente tra gli elementi più apprezzabili annotiamo la musica suonata dal vivo dai ragazzi (in veste anche di musicisti), con una partitura indovinata (non a caso il consulente musicale è Nicola Piovani) e un alternarsi nei ruoli vivace. Una vivacità che invece non abbiamo riscontrato in troppe scene statiche, quando il ritmo del testo imponeva un cambio di passo. Domina, ancora e sempre incontrastata, la grandezza del testo shakespeariano, capace di farci sognare e divertire a prescindere dalla messinscena e nonstante la notevole disparità tra il livello degli attori. Succede così che le scene più riuscite siano quelle della compagnia di attori, trascinata e capitanata dal bravissimo Luca Marinelli/Botto: comico senza cadere nella smorfia facile, con tempi e carisma da attore esperto, Marinelli mostra il talento già emerso nella Solitudine dei numeri primi. Insieme a lui, seppur con un talento ancora da affinare, Valentina Ruggeri/Ippolita/Titania e Barbara Ronchi/Elena, le uniche a mettere vita nelle parole, rendendole credibili, e investendole del significato che Shakespeare ha letto in esse. Sicuramente la professione farà crescere questi attori. Ma di fronte a un allestimento come questo ci chiediamo: qual è il testimone che un Maestro ha lasciato in eredità ai potenziali maestri di domani? Gli attori, vivendo il lavoro dall'interno, lo sapranno benissimo; ma che valore ha questo insegnamento, se non è in grado di tradurlo in un'espressione che sappia comunicare se stessa al pubblico?
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