Parlo con Ale dei luoghi abbandonati, della possibilità di fotografarli, delle foto scattate.
Mi propone di andare al vecchio ospedale, nella pausa tra un'apertura e l'altra della mia esposizione. Arriviamo sulla collina che guarda il mare. La giornata è limpida e radiosa. La recinzione che a febbraio era fermata da comodi gancetti è stata rinforzata. Passando sotto la rete entriamo nell'uliveto che circonda il nosocomio desolato ed austero, Anche la finestra del bar, che mi aveva permesso di intrufolarmi più o meno agevolmente, è stata inchiodata dall'interno da pesanti tavole. Solo una vera e propria immersione nella folta vegetazione ci porta, sul retro della costruzione, ad una porta aperta. Entriamo in un locale caldaia. L'i-phone di Ale a stento illumina il nostro esplorare tittubante. Saliti al piano superiore cominciamo a guardarci intorno, prime foto, primi commenti, quando sentiamo giungere dal portico esterno le prime voci.
Un attimo di paura spessa mi prende lo stomaco. Abbassiamo subito la voce , istintivamente, ci avviamo veloci verso la sola possibile via d'uscita. Non siamo sicuri se i visitatori sono consapevoli della porta aperta. Il trovarla ha richiesto a noi una buona decina di minuti di ricerca, nelle sterpaglie alte e nel terreno scosceso, totalmente coperto dai rami di un glicine maestoso. Continuiamo a fare foto, io senza grossi risultati, malgrado i molti spunti. L'agitazione mi prende e praticamente non vedo nulla. Quando realizziamo che i visitatori sono dentro l'ospedale al piano inferiore , che dovremmo attraversare se volessimo uscire dall'edificio, dico la cosa più stupida degli ultimi dieci anni. Dai Ale andiamoli a salutare... (continua)