Una generazione di ricattabili

Da Anacronista
Scritto per terrearse.it

La resistenza all’introduzione del reddito di cittadinanza ha molte spiegazioni. Ho la sensazione che la più importante non consista del tutto nella difficoltà nel trovare le risorse necessarie a tale spesa, ma nella fonte di inesauribili guadagni che la ricattabilità strutturale (determinata dalla mancanza o dall’incertezza cronica del reddito) di una parte della società procura all’altra.La precarietà, la disoccupazione, l’illegalità istituzionalizzata nel posto di lavoro e la paura di denunciarla per timore di perdere una misera occupazione, la vita in quartieri e condizioni di degrado, la provenienza da una famiglia a basso reddito (il cosiddetto ascensore sociale bloccato al piano terra), l’incubo di arrivare a metà mese sono tutti fattori che tengono una intera generazione sotto ricatto, in un contesto che è terreno fertile per lo sfruttamento. Guardiamoci intorno. Intere famiglie votano un simbolo vuoto in cambio di un paventato posto di lavoro o di un occhio di riguardo. Giovani che rinunciano alla formazione perché non possono permettersi di studiare senza lavorare, e lavorare studiando è spesso – di fatto – una complicatissima impresa. Donne che subiscono violenza e sono vincolate economicamente al compagno e così profondamente condizionate nelle scelte – mentre per contro si finanzia una lauta sportellistica spacciata per “politiche di genere”. Giovani che hanno già da tempo rinunciato al contenuto di cambiamento che la loro età (in linea ahinoi talora solo di principio) dovrebbe recare in dote, per andare a elemosinare a destra e a manca un briciolo di dignità – pasticcini all’imprenditore, caffè ai politici, cestini natalizi alla gente che conta, leccate di piedi quotidiane dal significato politico non indifferente. Ragazzini cresciuti in quartieri degradati, dove l’occhio della civiltà non ha mai posato lo sguardo, che sono nati col destino già scritto – bassa manovalanza della ‘ndrangheta, ordinaria delinquenza, ignoranza come fertile pilastro della “democrazia”. Madri che rinunciano all’autodeterminazione e all’espressione delle proprie capacità perché fino a 6 anni i bambini sono in balìa di un sistema di istruzione carente e costoso, al punto che, conti alla mano, è meglio restare a casa che lavorare per pagare un asilo – e a dover scegliere, che lo diciamo a fare, è sempre la donna. Giovani che vorrebbero diventare imprenditori di se stessi, ma che non hanno un euro in tasca (chi può permettersi più di risparmiare qualcosa? quanti hanno ancora accesso al credito?) e davanti al magico mondo dei finanziamenti impallidiscono perché sanno che li attende non già una facilitazione nella strada dell’impresa bensì una persecuzione fiscale mascherata da assistenzialismo. Giovani e meno giovani destinati a vivere attaccati alla gonnella di mamma e papà, spesso semplici pensionati che coi loro redditi da fame sfamano tre, quattro, cinque persone e al contempo si sostituiscono (in specie le donne) al welfare fatiscente accudendo i figli dei figli, i genitori e chi altro. Giovani costretti ad accettare un posto di lavoro che definire tale è comodo eufemismo, e che non denunciano lo sfruttamento ormai divenuto consuetudine legittimata perché se parlassero sarebbero gentilmente rimandati a casa e prontamente sostituiti da qualcun altro che tanto non si lamenta, che di questi tempi si trova sempre. Datori di lavoro oberati dalle tasse che recuperano tagliando sulla voce di costo più malleabile: il lavoratore e la lavoratrice. Il popolo delle partite IVA; contratti a progetto che di fatto legittimano rapporti di lavoro subordinato dipendente, ma chiaro, senza le garanzie di quelli; sbandierati finanziamenti per assunzioni con agevolazioni per uno o due anni, la cui scadenza viene non di rado celebrata dal datore di lavoro con il licenziamento del malcapitato; e che dire di quel pianeta parallelo che è il sommerso. Potremmo continuare a lungo, ma non diciamo nulla di nuovo e certo non pretendiamo di esaurire l’elenco delle ingiustizie sociali.C’è tutta una società che funziona grazie al ricatto dei (resi) più deboli, ci sono interi settori che vanno avanti grazie al ricatto. Il ricatto è una voce del PIL fra le più importanti. Chi sono i veri parassiti?Se fosse introdotto il reddito di cittadinanza si toglierebbe il terreno stesso della ricattabilità ai ricattatori. Si combatterebbe sul serio lo sfruttamento, non per finta. Si costringerebbe il mercato del lavoro a ottimizzare l’offerta e la qualità, a rispettare diritti e doveri. Si praticherebbero concretamente, benché certo non veramente del tutto, le pari opportunità: le, almeno in linea di principio, uguali condizioni di partenza per tutti e tutte. Si sottrarrebbe alla mano rapace dei politicanti lo stuolo di questuanti che barattano la propria libertà con il voto e il favorino (certo, non escludo di essere troppo ottimista), autentico segreto del successo di una classe dirigente inetta. Si darebbe la possibilità ai giovani di studiare serenamente e di laurearsi in tempo, di coltivare le proprie capacità trasformandole in competenze – cose che, affogati nel mare della ricattabilità, difficilmente hanno la possibilità di fare senza una famiglia abbiente o indebitata alle spalle, data la sostanziale mancanza di diritto allo studio in Italia. Si promuoverebbe la libertà dalle relazioni basate sulla dipendenza economica, si abbatterebbe il senso (materiale e psicologico) di oppressione e la rinuncia a una vita degna che a queste presiede. Che i sindacati e molti – per fortuna non tutti – sinistrorsi storcano il naso non mi meraviglia. Tutta l’ideologia del lavoro come compimento della brutalizzazione della propria umanità martirizzata dal fare-per-l’altro – il capitalista, non la società, un gruppo limitato, non la comunità – in luogo di una concezione del lavoro come espressione di sé e contributo creativo alla crescita della comunità è dopotutto più familiare per tutti. Il mondo cambia, e i sindacati ormai sono parziale espressione di una parte importante ma limitata della popolazione in età da lavoro – i precari, disuniti e sparpagliati nella selva del mercato del lavoro, dove sono rappresentati?; segno che certa sinistra è arroccata ai tempi che furono, o nel rifiuto totale di ogni mediazione istituzionale, ad esempio nel caso dei molti militanti radicali che dallo Stato dicono di non volere niente eppure sono costretti anch’essi misurarsi con il magico mondo delle tasse. Tutto il gergo tradizionale del lavoro e della libertà è rimasto incastrato in se stesso perché incapace di vedere che oggi la situazione è diversa da quella che la terminologia fica adattata in modo schizofrenico al presente crede di poter ancora rappresentare, come se il mondo restasse sempre uguale. Abbiamo uno stuolo di precari che le parole di Marx e dei suoi esegeti del Terzo Millennio non ci restituiscono che parzialmente.Facile spacciare per buontemponismo e bamboccionismo qualcosa che fa comodo definire in questi termini (secondo la solita logica classista e paternalista che abbiamo già considerato in relazione alla retorica sui fuori corso http://terrearse.it/tag/fuori-corso/) per mantenere intatto un sistema che sul ricatto ha basato le sue disuguaglianze, raramente (o per lo più accidentalmente) giustificate dal merito. Come al solito, come per i migranti stranieri, come per i Sud del mondo, il debole è linfa vitale per il più forte, è la sua vera, non detta, implicita, enorme fonte di fortuna.Certo, questa misura non è panacea di tutti i mali. Per le pari opportunità, la giustizia sociale e la meritocrazia ci vogliono cambiamenti radicali nel modo stesso di concepire le istituzioni, il lavoro, la valutazione, eccetera. Ma il reddito di cittadinanza è una misura che lateralmente attenuerebbe diverse ingiustizie – con gli strumenti dell’economia che evidentemente, peraltro, non ha beneficiato dell’austerity. Non in una logica assistenzialista – parola usata per lo più per incutere senso di colpa presso i “disagiati” – ma in una logica di razionalità, civiltà e pari opportunità. Abbandonata definitivamente la chimera del posto fisso, a ”vergognarsi” in tal senso non dovrebbe essere il provero cristo che passa le giornate a inviare CV, a lavorare gratis o quasi, a cercare disperatamente di tenere insieme i pezzi della sua dignità anche se sotto lo scacco della precarietà e del ricatto istituzionalizzato, bensì la classe politica che prende senza dare e opera una distribuzione delle risorse irrazionale, che strizza l’occhio alle disuguaglianze che fomenta nell’atto stesso di professarsene contraria. Col reddito di cittadinanza si metterebbe in campo un tentativo combinato di contrasto alla ‘ndrangheta – quanto meno in alcune delle sue ramificazioni -, almeno in parte alla violenza di genere, all’illegalità nel mondo del lavoro, in favore della libertà di scelta: quest’ultima in particolare sembra ormai un lusso e quasi ci si vergogna finanche a tirarla in ballo tanto pare chimerica. L’Italia sembra divisa in due – quelli che hanno la poltrona (in politica, nelle imprese, nelle istituzioni pubbiche e private) e quelli che, non avendola, pagano le poltrone del prossimo con la propria ricattabilità, che spesso si vuole far passare per inadeguatezza genetica ai brillanti meccanismi del mercato. Il reddito di cittadinanza è, in assenza di un welfare degno di questo nome, prerequisito fondamentale per garantire la cosiddetta uguaglianza nelle condizioni di partenza, a sua volta prerequisito della meritocrazia (come faccio a esprimere e a coltivare le mie capacità, se – fra l’altro - non me lo posso permettere?). Smettiamo di riempirci la bocca di “giovani” se di fatto non facciamo nulla per liberare il sistema dalle incrostazioni oligarchiche, classiste e gerontocratiche di cui è pervaso in ogni angolo.In Calabria il disagio si fa più acuto e assoluto. “In Tunisia si sono ribellati per molto meno”, ci ha detto Francesco Tassone intervistato per Sud Altrove. E’ vero. C’è una specie di perverso masochismo da queste parti e non solo. Nell’ultimo exploit elettorale i calabresi hanno premiato i partiti che più li hanno presi in giro oltre ogni razionale aspettativa. Il risultato consiste nel rendere continuamente possibile una classe dirigente incapace, con almeno un piede affossato nell’illegalità e nel più spregiudicato tornacontismo. Forse togliendo il terreno stesso della ricattabilità qualcosa può cambiare? Forse sono troppo ottimista. Forse no.

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