Magazine Diario personale

Ode alla sciacquetta

Da Maddalena_pr

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La sciacquetta parla piano, la voce flebile, scandisce parole soppesate, trattenute senza sforzo. Sa darsi il tempo di pensare prima di aprir bocca. Un tempo lungo che lascia agli altri di abitare liberamente. Non ha fretta.
Cammina con flemma anche quando è in ritardo, conosce il tempo e non ne ha paura.

Entra nella stanza con il viso chiaro, il trucco a posto, un bel vestito. È sempre in ordine. Il capo leggermente chino, avanza cauta ogni richiesta, anche le più semplici, attende il suo turno per ogni cosa, aspetta che la si inviti ad accomodarsi.

Nel confronto verbale il suo cuore galoppa, scuote la maglia che lo custodisce, le mani sudano e ha puntualmente la fregatura di due gote che si arrossano senza preavviso.
Risponde solo se interpellata, avanza le sue ragioni, ma è pronta a ritrattare. Misura i toni in base a chi ha davanti, solitamente non ha bisogno di alzare la voce perché difficilmente può irritare.

Può avere torto, ma chiede scusa, nel dubbio, prima ancora di essere attaccata.
Porge ascolto immacolato, non interrompe le conversazioni.
Sa ridere, come tutti, ma le sue risate producono un suono dimesso, nella convinzione genetica che per esistere non serva fare rumore.
Stesso dicasi per il dolore: ha lacrime, come tutti, ma irrigano la pelle chiara senza un sussulto, e, men che meno, un grido di strazio.

Si vergogna della vergogna, ma raramente ha di che vergognarsi. Di norma è in pace col mondo, le guerre le tiene dentro in scatole chiuse, e viaggia leggera lasciandole nel solaio.

Non fa mostra di sé, è accomodante, dove passa lascia segni piccini quanto le briciole di Pollicino. Solo i più attenti le scorgono. Non fa chiasso, il suo esistere, non interferisce con le voci del mondo. Non dà fastidio a nessuno. Per questo tutti la adorano.

Io sono quella che esce dalla farmacia dicendo “Spero addio” anziché Arrivederci.
Io sono quella che ride forte, sconquassa l’intorno, e altri dietro, goliardici.
Io sono quella che a una scoperta semplice come ritrovare la stessa addetta al laboratorio di analisi che mi riconosce, esulta con un “Ah!” quasi da stadio, procurandole l’occhiata severa e sdegnata dell’altra addetta.
Io sono quella che, quando piange, poi si soffia il naso, perché ha pianto forte.

Io entro nelle stanze senza fare rumore solo se c’è dentro un figlio che dorme.
Io mi sbaglio, nel misurare i suoni, perfino negli ospedali.
Sono imbranata, goffa, il mio tono di voce a scuola mi valeva continui richiami: mi sgamano subito.

Parlo forte, dico la mia: le guerre le creo.
Argomento il mio punto di vista fino allo stremo, interrompo spesso chi parla, non so mentire né tacere se una cosa ribolle.

Io sono quella che fa troppe domande: chiedere nei dettagli, non arrestarsi di fronte all’evidente barcamenarsi dell’altro, la fa percepire come provocatoria.
Io sono quella scomoda. Ingombrante.

Hanno un bel ridere con me, quando faccio le mie scene comiche. Hanno un bel dire quando mi stimano per un apparente coraggio, per la mia testa vivace.
Io non so stare al mondo.
Sono una guerrafondaia, scomoda io scomoda la gente.
Oltre il breve colle della simpatia, di un istante, io sono frana che travolge il benestare comune.

Figli miei, non posso insegnarvi le misure.
Non posso insegnarvi a stare al mondo.
Io, non so impararlo.

ps: onde evitare suscettibilità nei soggetti più permalosi si specifica che “sciacquetta”, nella prima parte, non è da intendersi riferito ad alcun soggetto in particolare. Si coglie altresì l’occasione, nondimeno, per ricordare che, se il lettore è libero di interpretare, lo scrittore è libero di scrivere ed esprimere la propria opinione.


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