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Comunque si sbagliavano, tutti quanti. Clive Barker non è mai diventato l'erede di Stephen King, e molti anni e molti libri dopo si può affermare senza tema di smentita che i due autori hanno ben poco in comune. Spero mi si perdoni questa considerazione abbastanza banale (probabilmente chiunque scriva di Barker ne avrà fatta una analoga). Eppure credo che sia condivisibile da ogni fan dei due scrittori.Questa non è né una critica a King, sia chiaro, né un'apologia di Barker. King l'ho amato molto in (sic) gioventù, e anche adesso che sono passati anni dall'ultima volta che ho preso in mano un suo libro continuo a pensare che sia un bravo scrittore. Il punto è che la sua scrittura migliora quanto più lui si allontana dall'horror, secondo me: lo trovo più bravo come narratore drammatico che come narratore dell'orrore, credo che sappia scavare in profondità nell'animo umano con molta efficacia, ma per me i suoi orrori legati al quotidiano e alle paure inconsce, con poche eccezioni, hanno sempre avuto ben poco di terrificante. Affascinante, sicuramente inquietante, ma non davvero terrorizzante. A parte questo, resta il fatto che diversi libri di King non mi hanno soddisfatto granché (“Il gioco di Gerald” in testa). Forse per questo a un certo punto me ne sono disamorato.
Barker, invece, era più nelle mie corde e lo è tuttora. La sua scrittura è decisamente meno elaborata ma, per rispondere a chi considera tale caratteristica un difetto, questo modo di scrivere gli permette di catturare l'attenzione del lettore sin da subito. Qualche volta mi ha deluso con dialoghi a malapena convincenti o con fraseggi poco ispirati, eppure anche in quei momenti Barker è stato capace in poche righe di catapultarmi nel vivo delle storie, e trovo la sua capacità di immaginazione, così come la sua abilità evocativa, assolutamente fuori dal comune; le sue “creature di carta” hanno una qualità visiva che le ha rese materiale ideale per il cinema, che pure spesso non gli ha saputo rendere del tutto giustizia (ma la colpa è anche sua, dato che si è occupato personalmente dell'adattamento di alcune delle sue storie). Del resto oltre che scrittore Barker è anche un pittore, è abituato quindi a dissezionare, disegnare e colorare la realtà come se fosse un quadro. Senza esagerare, personalmente credo che a suo modo sia un genio.Come ricorderete, Barker esordì nel 1984 con i cosiddetti “Libri di sangue” (Books of blood), in cui erano raggruppati diciotto racconti che erano incubo puro, deliranti e incredibilmente violenti. Racconti dove la violenza non è solo fisica ma anche sottilmente psicologica, dove l'orrore s'insinua nel quotidiano e quando esplode lo fa con inaudita potenza, spazzando via tutto, e che hanno una precisa e forte connotazione sessuale, dove il sesso è esso stesso elemento orrorifico e destabilizzante. Ricordo che quello che mi rimase più nella mente fu “In collina, le città”: una storia talmente stramba che mi parve che nessun altro, a parte lui, avrebbe potuto concepirla.
Nei lavori che seguirono l’intensità non manca, anche se nelle sue incursioni nel fantasy Barker ha mitigato parecchio questi tratti per dedicarsi ad una narrazione a più ampio respiro, dimostrando che le grandi epopee gli sono congeniali tanto quanto le storie con pochi personaggi, i romanzi voluminosi come i brevi racconti. In queste opere predomina spesso un altro dei bisogni dell'uomo, l'amore, forse non primario come il sesso, ma elemento chiave per influenzare gli avvenimenti narrati. Per sua stessa ammissione, questi non sono libri pensati per spaventare, ma per stimolare il nostro innato desiderio di avventura; sono esse stesse avventure metafisiche, nel magico e nel trascendente, incluse quelle porzioni di magico e trascendente che sono presenti dentro noi stessi. Sono storie con elementi dark, ma spesso lontane dall'horror vero e proprio, con tanti personaggi e nessun eroe, ma piuttosto persone che nel corso del viaggio smarriscono se stesse e, quando si ritrovano, perdono qualcosa (persino la vita!) per guadagnare qualcosa di ancora più importante.Per esempio, a proposito di “Imagica” Barker dichiarò: “What I've tried to do to the reader is say, "There isn't the solid moral clarity of Lord of the Rings". I do the reverse of that. Imajica's characters are human beings like you and I who, of course, discover a larger purpose for themselves. But in discovering a larger purpose, rather than becoming more themselves - like the hobbits out there in the wilderness becoming more hobbity - my characters skin themselves. The lives they have fall away."Qualche paragrafo fa ho usato il verbo “dissezionare”, e non l'ho fatto a caso. Nella sua dimensione horror Barker dimostra una vera e propria ossessione per la carne e la sua devastazione, spesso legata all'immaginario sadomasochistico e che come tale ha sempre dato adito a precise interpretazioni in chiave psicanalitica. In quelle storie ha dato origine ad alcuni dei più orribili mostri che penna umana abbia mai partorito, mostri come i Cenobiti del ciclo di “Hellraiser” che non si limitano a nutrirsi delle paure altrui come vampiri psichici, ma il cui unico scopo è perseguitare fisicamente le proprie vittime arrecandogli più dolore possibile, lacerando, sezionando e strappando loro la carne, in un parossismo di sofferenza che non finisce nemmeno con la morte, anzi nella morte trova perpetuazione eterna.
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