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Se pensiamo al significato che comunemente diamo alla parola “mostro”, ci accorgiamo che noi stessi molto spesso la utilizziamo per definirne le azioni. Il mostro per antonomasia è il serial killer, colui che agisce contro la comunità perpetrando il più orribile dei crimini, l'omicidio (e anche di peggio, a volte, come le cronache c'insegnano). Ecco, il protagonista di “Cabal” è Boone, un uomo accusato di essere un serial killer. Confuso e incapace di ricordare, credendo di non avere altro posto dove andare, Boone si rifugia a Midian, una necropoli abitata da mostri che lì vivono, lontani dallo sguardo del mondo. Sono creature che sembrano tratte da un bestiario medievale, e ognuna di esse è peculiare, fantastica, ben lontana dall'ideale di omologazione che caratterizza il nostro mondo. Midian è una vera comunità dove, e non potrebbe essere altrimenti, impera l'accettazione: la bruttezza e la deformità, le contraddizioni, sono parte della sua realtà. Ora della fine, com’era prevedibile, viene fuori che i veri mostri sono altri; i mostri sono là fuori.
Ma nella narrativa di Barker non ci sono solo mostri, anzi pressoché tutti i suoi personaggi (chi più chi meno) hanno un lato oscuro, qualcosa di irrisolto. Spesso sono emarginati o socialmente disadattati, o semplicemente individui che per i più vari motivi non accettano il posto loro assegnato nel mondo per nascita, e con le loro ossessioni sono spesso la causa dello scatenarsi dell'orrore/del cambiamento. Alcuni di essi desiderano diventare dei mostri: ergo, dei diversi. Non solo accettano questa diversità, ma anzi la bramano e lottano per ottenerla anche se poi, nel farlo, la loro esistenza si stravolge.... Mi vengono in mente non solo le creature di “Cabal”, ma anche i personaggi dei Libri dell'Arte (“Apocalypse” e “Everville”), forse i più metafisici che abbia mai scritto, oppure quelli di “Imagica”, per esempio...
Per Barker c'è della poesia nel diverso, persino nel macabro. Si è cercata una spiegazione a questo nella sua omosessualità, ma lui stesso ha sempre cercato di ridimensionare in parte questa interpretazione, sottolineando che non sono solo gli omosessuali ad essere percepiti come dei diversi all'interno della società. Un pensiero del genere è senz'altro vero e gli fa onore, ma se oggi l'omosessualità è ancora capace di creare conflitti sociali, nonostante sia stata sdoganata dal profondo modificarsi del costume e della morale corrente, grazie anche ai personaggi pubblici e alle celebrità che nel tempo hanno fatto coming out, all'epoca doveva essere causa di grosse discriminazioni (ricordiamo che si stava diffondendo a macchia d’olio l’HIV: nacque proprio in quegli anni la paura incontrollata dell'AIDS).
Era inevitabile che una questione tanto personale andasse ad influire sulla sua scrittura. E, infatti, spesso i protagonisti delle sue storie sono omosessuali oppure bisessuali; Galilee, il personaggio che dà il nome all'omonimo libro, è bisessuale e di colore... due volte “diverso”. La prima parte di “Imagica” è, essenzialmente, la descrizione di un viaggio per i cinque Domini, e i viaggiatori sono “anime gemelle”: uno è un uomo (e un pittore, solo un caso?), l'altro non è nemmeno umano e non ha sesso, o meglio li racchiude entrambi in sé, e quando fanno l'amore penetrano uno dentro l'altro come un uomo e una donna non potranno mai fare, perlomeno non nell’ordine naturale delle cose del nostro mondo fisico. Questo è il sesso per Barker: una totale comunione di corpi e di anime, qualcosa che racchiude in sé la potenza dell'universo, il punto di rottura, il totale annullamento dell'io. Che un atto del genere possa essere sublimato solo dall'amore e che un tale amore possa sopravvivere alla morte, poi, vien da sé.
“Imagica” è anche il punto di partenza ideale per affrontare un altro binomio interessante, ovvero Clive Barker e la religione. Anche se a volte di primo acchito non è così evidente, Barker parla spesso di religione, o meglio di sentimento religioso. “Imagica” è la storia di Dio in chiave fantasy, in un regno dove però esistono anche altre divinità: il suo è un Dio egomaniaco privo d'amore e di gioia che ha realizzato un universo fatto a sua immagine al solo scopo di autoglorificarsi, e che a dire il vero somiglia abbastanza al Dio severo e vendicativo dell'Antico Testamento e molto poco (anzi per niente!) a quello compassionevole dei Vangeli, se non fosse che anche lui ha un figlio; la scusa perfetta perché Barker possa proporre anche la sua particolare idea della Trinità, come al solito qualcosa di assolutamente folle. Hapexamendios, il Padre e principale elemento maschile di questo curioso pantheon, è imprigionato nel suo mondo, forse una descrizione del suo stesso inconscio; la sua vita è un'eterna lotta contro il femminile, personificato dalle Dee che cerca di eliminare, causando così la propria stessa rovina, perché in natura c'è bisogno di equilibrio... e nemmeno gli universi di Barker fanno eccezione. Il Figlio, poi, è una caricatura di Gesù: laddove l'uno scelse di bere “dall'amaro calice” fino in fondo, l'altro sceglie di dimenticare chi è, qual è il proprio posto e il proprio destino, salvo poi essere “redento”... dall'amore! Non solo quello spirituale, of course... altrimenti non staremmo parlando di Barker....CONTINUA
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