Il bello della Toscana è che è tanto grande e tanto varia che non ti stancheresti mai di esplorarla. Così appena capita l’occasione è proprio un piacere montare in macchina e imboccare una strada attraverso il territorio: tanto, ovunque ci porterà, sarà stata una scelta eccellente. Così, senza pianificare nulla, un paio di domeniche fa siamo partiti nella tarda mattinata (con calma, non c’è bisogno di fare le corse anche nel giorno libero) da Firenze e abbiamo imboccato la Firenze-Siena. Ancora non avevamo ben chiaro dove andare, poi improvvisamente l’ispirazione: l’Abbazia di San Galgano! C’ero stata anni fa, e questo non è certo un buon motivo per non doverci tornare!
La piazzetta di Frosini, con la chiesetta romanica e gli edifici del borgo
Abbandoniamo così la Firenze-Siena e ci inoltriamo per una bella e lunga strada piuttosto dritta, che costeggia campi di grano, dolci colline dominate da casali e castelli, brevi tratti di bosco, e ancora campi di grano. Poi la strada lievemente si trasforma, inizia qualche curva, fino a quando, lungo la deviazione per San Galgano, incontriamo il piccolissimo borgo di Frosini. Impossibile non fermarsi. E così saliamo al castello.
Frosini consiste in un parcheggio su cui affacciano due case, una chiesa, il castello nascosto dall’edera; dopodiché in fondo ad una stradina sterrata si arriva in un ampio spiazzo panoramico, dominato, davanti a noi, da una porta medievale con arco a ogiva, una chiesa romanica e altre casette che incorniciano la scena. Qui il tempo sembra essersi fermato: un gatto cerca l’ombra sotto un vaso di fiori mentre noi godiamo della vista sulle colline. Tutto sembra sospeso nel tempo, forse perché siamo noi (e il gatto) gli unici esseri animati presenti. Sembrerebbe quasi abbandonato, eppure i fiori nei vasi ci dicono che c’è vita, anche se oggi è ben nascosta.
Questa pausa di “bellezza” ci ricarica in vista della meta principale della nostra gita: l’Abbazia di San Galgano. La raggiungiamo dopo pochissimi km e la troviamo lì davanti a noi, immersa nel giallo dei campi di grano ancora da mietere. Abbazia tanto imponente quanto sfortunata, San Galgano sarebbe un capolavoro di architettura gotica se non fosse che il suo tetto, crollato anticamente, ne ha decretato da un lato il suo totale abbandono e dall’altro è stato complice del suo fascino. Costruita nel XIII secolo lungo una via di comunicazione importante per il trasporto dei metalli estratti dalle non lontane Colline Metallifere, e vicino al luogo di culto in cui si trovava la spada conficcata nella roccia da San Galgano, l’eremo di Monte Siepi, cominciò ad avere i primi problemi strutturali nel XIV secolo, ma è a metà del ‘700 che un fulmine colpisce il campanile facendolo crollare sul tetto che rovinosamente crolla. Il Monastero era stato comunque già abbandonato, e tale rimase finché non si decise di recuperarlo, puntando proprio sul fascino romantico delle rovine medievali abbandonate.
La navata centrale dell’abbazia di San Galgano, perfettamente spoglia
Il luogo è davvero magico: sei in una cattedrale scoperchiata, sembra un luogo irreale, che rimanda a tempi lontani ormai perduti per sempre. Osservi ciò che resta delle costolature delle volte a crociera crollate, guardi uno per uno i capitelli, fissi ipnotizzato la finestra circolare aperta nell’abside quadrata. Questo scheletro così spoglio eppure così maestoso all’interno del quale ti trovi ti avvolge e ti sovrasta, e puoi avvertire la sacralità del luogo, che un tempo pervadeva ogni singola arcata e che oggi respiri in queste rovine così superbe.
San Galgano: archi, colonne, pilastri e capitelli
Un breve sentiero in salita porta poco distante proprio all’eremo di Monte Siepi, la chiesa nella quale è custodita la spada che San Galgano, nel XII secolo, decidendo di abbandonare la vita militare per darsi alla vita religiosa, conficcò nella roccia proprio qui, luogo del suo eremitaggio. La chiesa, costruita nel 1181, dopo la morte del santo, è piccina e raccolta, a pianta centrale, sormontata da una cupola che fa venire il mal di testa a guadarla, decorata a cerchi concentrici di mattoncini bianchi e rossi.
La cappella affrescata da Ambrogio Lorenzetti con scene della vita di San Galgano
Nella piccola cappella a lato è affrescata da Ambrogio Lorenzetti la storia di San Galgano, mentre nel bel mezzo dell’aula si trova la spada conficcata nella roccia, oggi come allora, protetta da una teca per evitare che qualche simpaticone voglia giocare ad Excalibur provando ad estrarla dalla roccia. Da quassù si domina il panorama della vallata; il giallo dei campi di grano abbaglia, mentre in lontananza a malapena si distinguono le colline, per via della foschia del mezzogiorno.
Se avete fame scendendo da Monte Siepi, non fermatevi da “Salendo”: tanto turistico quanto deludente. Piuttosto tenetevi la fame, o andate a pranzo nella vicina Chiusdino.
È a Chiusdino che andiamo nel pomeriggio: borgo medievale come tanti altri della Toscana, è molto legata al culto di San Galgano, del quale si conserva la casa natale, trasformata in cappella di culto, mentre una statua di culto è conservata nell’attigua chiesa di San Sebastiano, e mostra il santo inginocchiato a pregare davanti alla spada nella roccia. Chiusdino regala dei begli scorci sui vicoli medievali, e da qui si domina un panorama sulla vallata circostante che riempie veramente gli occhi di verde, di aria, di bello.
Sulla via del ritorno inizia un’avventura che potremmo chiamare “la caccia al castello errante di Stigliano“, visto che lo vediamo da lontano, ma non riusciamo a trovare la strada per arrivarvi in macchina: non riusciremo mai ad arrivare al castello, ma questa ricerca forsennata ci consente di fare altre belle scoperte nel territorio di Siena.
Innanzitutto ci imbattiamo in un allevamento di maiali di Cinta Senese: vivono allo stato brado in una querceta, hanno tantissimo spazio a disposizione e sono tantissimi; i loro grugniti riempiono l’aria, mentre grufolano nella terra fangosa. Vederli fa un certo effetto, perché sono abituata a pensare ai maiali che stanno ad ingrassare nei loro stretti recinti, non a bestie che corrono nel bosco di querce.
Un maiale di cinta senese. Mai visto uno dal vivo?
Sempre inseguendo il “castello errante di Stigliano” ci imbattiamo nel castello di Montarrenti, anche se lo vediamo solo da fuori, visto che il cancello è chiuso: un imponente parallelepipedo posto su una altura a controllo di questa parte della vallata nel territorio di Sovicille; un insediamento molto antico, di VII secolo a.C., che viene abbandonato relativamente presto, ma del quale rimane, a perenne memoria, questo imponente monumento. Imbocchiamo poi la strada per Sovicille, che segue la stretta gola del fiume Merse (veramente suggestivo il Ponte della Pia, un piccolissimo ponte medievale in pietra a schiena d’asino) e arriviamo in vista di Torri.
Benvenuti a Torri (Sovicille, SI)
Torri è un piccolo borgo medievale, fortificato, racchiuso entro le sue mura e assolutamente non turistico. Ma da qui si gode una vista sulle crete senesi che spazia fino a Siena e da qui iniziano i sentieri che, lungo la valle del Merse, si inerpicano nel bosco e forse, dico forse, raggiungono, finalmente, il “castello errante di Stigliano“. Lo scopriremo la prossima volta, ormai sono le 18.30, evitiamo di trovarci a scarpinare al buio…
Ormai sulla via del ritorno verso casa, compiamo l’ultima deviazione: Monteriggioni ci appare con le sue torri e ci invita a salire. È sera, ormai, è il tramonto, e la piazzetta si colora del rosa del sole che cala. C’è tanta gente, fuori dalle mura si sta svolgendo la Giostra medievale legata alla manifestazione “Monteriggion di Torri si corona”. Ceniamo qui in un ristorantino sulla piazzetta e, quando calano le tenebre, facciamo rientro a casa.
La piazza di Monteriggioni