Le domeniche libere proseguono con la mia prima gita in barca a vela. Mi sembra impossibile che proprio io, nata e cresciuta in riva a un lago, non sia mai stata su una barca a vela. Ci penso e ci ripenso, ma anche se è vero che la mia memoria è notoriamente pessima, non mi sembra proprio di essere mai stata su una barca a vela. Cosa che si spiega solo con il mio assoluto e paralizzante terrore dell'acqua profonda di cui non si vede il fondo.Comunque, la prima tappa per arrivare alla barca a vela è la casa della mia amica Alessandra, che ci porterà in macchina fino ad Alameda, la città-isola nella baia di San Francisco dove è parcheggiata la barca del nostro amico John. Alessandra abita nel Duboce Triangle, che è vicino a Castro, lo storico quartiere gay di San Francisco. Sarà che nelle mie domeniche libere sono sempre di buonumore, ma comincio a commuovermi quando passo davanti ai tavolini all'aperto e al tripudio di fiori del Café Flore (appunto), e poi rimango a bocca aperta quando mi addentro nelle strade dietro Castro Street e trovo case e vie curatissime, tutto lindo e fiorito e di buon gusto. Questa zona è abitata da deliziosi signori gay, uno vestito da giardiniere con il cappello di paglia un po' rotto ma con stile ci indica la strada ed è così gentile, e tutto è così verde e fiorito, c'è persino un signore che vende fiori in un giardinetto sul marciapiede, gigli profumatissimi, e poi scoprirò che quel signore sta lì a vendere fiori da 35 anni (anche se poi ho letto l'intervista e il signore dice che in 35 anni il quartiere è cambiato, adesso sono tutti ricchi yuppie e lui stesso è stato sfrattato da 4 anni e pochi giorni prima era stato fermato da un poliziotto che gli aveva puntato la pistola alla tempia perché guidava con i fari spenti. Cazzo, appena gratto sotto la superficie questa città mi delude sempre. E anche stavolta ero partita con le migliori intenzioni, eh. Vabbè, andiamo avanti), e poi le strade sono alberate e c'è una luce autunnale e Dio com'è bello qui.E guarda, c'è anche Lucy!
Con l'Alessandra passiamo da Trader Joe's a comprare le birre per la gita, e qui scopro nuovi abissi di demenzialità culinaria. Le uova sode (cage-free, mi raccomando) già pronte e sgusciate.
La barca, come dicevo, è parcheggiata in una delle marine di Alameda. Molte di queste barche non escono mai in mare, ma sono diventate case galleggianti per chi non ha troppe esigenze di spazio e soprattutto non può permettersi di pagare gli affitti criminali di San Francisco.
L'equipaggio è composto da sei persone, tutte, tranne John, fantozzianamente inabili alla benché minima manovra velistica. Mentre io, Alessandra e Mr K rimaniamo pietrificati sui sedili, limitandoci a spostare il culo quando qualcuno deve fare una manovra, gli altri due amici di John si sbattono eroicamente, riuscendo a collezionare solo cinque o sei jibe, cioè errori pericolosissimi in cui l'albero maestro (si chiamerà così?) passa violentemente da un lato all'altro della barca nel giro di un secondo netto, producendo un sibilo agghiacciante. Whooosh. Le conseguenze potenziali del jibe sono: 1) la decapitazione immediata di chiunque si trovi lungo la traiettoria della trave (o come cacchio si chiama) dell'albero maestro (cosa che naturalmente continuavo a immaginare); 2) la rottura del suddetto albero con conseguenze catastrofiche per la barca e l'intero equipaggio. John sudava copiosamente a ogni jibe, ma per fortuna l'albero ha resistito e nessuno è stato decapitato. Abbiamo semplicemente trascorso metà della gita piegati in due per stare il più lontano possibile dall'albero assassino.
Qui sotto potete vedere quella che è stata più o meno la nostra rotta. Siamo arrivati davanti al Bay Bridge, e quel ghirigoro rappresenta il punto con la massima frequenza di jibe
L'acqua naturalmente era profonda e non si vedeva il fondo, anche perché abbiamo navigato perlopiù in un canale industriale davanti al porto di Oakland, davanti all'ameno paesaggio di grandi navi portacontainer e delle gigantesche gru famose per aver ispirato quei cosi brutti di Guerre Stellari. Guardate un po' se non li riconoscete
Quando poi siamo entrati nella baia si è alzato un gran vento, ma io fortunatamente ero attrezzata. Sì, perché non avendo portato l'indispensabile cappello, perché tanto sapevo che mi sarebbe volato via, prima mi sono protetta arrotolandomi la maglietta in testa, ma quando poi è venuto freddo ho estratto la mia nuovissima giacca metallizzata regalo della suocera e mi sono ritrovata al calduccio e con la testa coperta. Vedete Alessandra che, pur essendo molto più chic, doveva sempre tenersi il cappello? Io invece ho fatto proprio un figurone, se mi vedeva Lucas mi ingaggiava per la prossima puntata di Guerre Stellari (sopra di me è chiaramente visibile l'albero assassino).