Una grande mostra a Roma: Akbar, imperatore dell’India

Creato il 22 ottobre 2012 da Milleorienti

Cari lettori, ecco il mio articolo di anticipazione della mostra “Akbar, il grande imperatore dell’India”, pubblicato sull’ultimo numero di Sette, il magazine del Corriere della Sera. Buona lettura, MR.

«E’ la più vasta esposizione mai realizzata in Europa sulla figura e l’epoca dell’imperatore indiano Akbar, uno dei più potenti sovrani della Storia, appartenente alla dinastia dei Moghul, discendenti di Gengis Khan e di Tamerlano.  Una mostra di grandi ambizioni, resa possibile dalla collaborazione di musei di tutto il mondo – dal National Museum di Delhi al Metropolitan di New York al British di Londra a tanti altri –  che ci hanno prestato opere d’arte mai viste in Italia ». Non nasconde la sua legittima soddisfazione il prof. Emanuele, presidente della Fondazione Roma, che nel museo di Palazzo Sciarra ospita dal 22 ottobre 2012 al 3 febbraio 2013 la mostra «Akbar, il grande imperatore dell’India».

Ideata e diretta dal prof. Giancarlo Calza – già curatore di importanti esposizioni d’arte asiatica a Milano e a Roma – la mostra di Palazzo Sciarra presenta oltre 130 capolavori dell’Età di Akbar, realizzati in India fra il sedicesimo e il diciassettesimo secolo:  dipinti, gioielli, bronzi dorati, antichi tappeti, coperte nuziali, libri finemente illustrati, armi tempestate di pietre preziose, cassettoni intarsiati in avorio e madreperla. Tutti segni di una vita di corte talmente opulenta da far diventare Akbar e la dinastia dei Moghul– nell’immaginario occidentale – il simbolo stesso dello “sfarzo orientale”. Uno sfarzo e una ricchezza culturale ben illustrate nelle cinque sezioni in cui è suddivisa la mostra romana: “Vita a corte, governo e politica”; “Città, urbanistica e ambiente”; “Arti e artigianato”; “Guerra, battaglia e caccia”; “Religione e mito”.

Nel 1556 il principe musulmano Jalaluddin Muhammad sale al trono dei Moghul all’età di 13 anni; a 19 anni si è già sbarazzato dei suoi avversari a corte e da allora fino alla morte (nel 1605) regna su gran parte dell’India, del Pakistan e dell’Afghanistan  guadagnandosi il titolo di Akbar, cioè “il Grande”, un attributo che nell’Islam è solitamente rivolto solo ad Allah. Scopo della mostra, spiega il prof. Calza, è illustrare proprio «come la vita e l’opera di Akbar siano diventate simbolo del livello più alto del governare, come egli sia entrato nell’immaginario collettivo a esempio sommo di capacità strategica, acutezza diplomatica, saggezza amministrativa, nonché di promozione dell’arte, della cultura e dello sviluppo urbano, ma soprattutto di tolleranza e pietas religiosa nei confronti di tutte le fedi presenti nell’impero».

   I dipinti esposti a Palazzo Sciarra mostrano bene la genialità e l’originalità del personaggio Akbar: spietato con i nemici in guerra, dopo averli sconfitti li include sempre nei propri ranghi, spesso coprendoli di onori. Akbar è analfabeta ma diventa un grandissimo protettore delle lettere e delle arti, e invita a corte filosofi e artisti di ogni parte del mondo conosciuto; non potendo leggere e scrivere – probabilmente per una grave forma di dislessia – si fa spiegare a voce dai sapienti le loro dottrine filosofiche e religiose. Lui, musulmano affascinato dalla mistica sufi, cancella la tassa statale che gravava sui cittadini non-musulmani, sposa varie principesse induiste senza pretendere che si convertano all’Islam, si circonda di religiosi di ogni credo: induisti, giainisti, zoroastriani e anche gesuiti cattolici, ai quali fa costruire una chiesa e una scuola di lingua portoghese perché possano trasmettere la propria fede e cultura. (Ma nonostante gli sforzi dei gesuiti si rifiuta di convertirsi al cristianesimo anche perché non sopporta l’idea della monogamia).

La mostra romana spiega dunque perché questo sovrano musulmano è passato alla Storia come Akbar il Gran Moghul: per la modernità della sua visione di uno Stato multietnico, multiculturale e multireligioso eppure unitario, dove ogni cittadino potesse sentirsi parte non discriminata ma pari alle altre. Una visione politica improntata ad apertura, tolleranza e inclusività. Per capire la “rivoluzione” operata da Akbar bisogna ricordare che i Moghul musulmani erano una dinastia turco-mongola proveniente dall’Asia centrale che per gli indiani di religione induista erano dei semplici invasori.  Durante il regno di Akbar invece l’impero Moghul diventa uno Stato in cui nessuno debba sentirsi “straniero in Patria”, a prescindere dall’etnia o dalla religione di appartenenza.  E in ciò sta la vera attualità della sua politica.

Questo sorprendente mecenate analfabeta si dedica nei periodi di pace a ogni genere di attività: per esempio una raffinata miniatura del 1590, intitolata “Akbar ispeziona la costruzione di Fathpur”, mostra l’imperatore mentre discute con un tagliapietra intento alla lavorazione di Fathpur Sikri, la “Città della Vittoria”, quella nuova capitale che Akbar volle edificare nei pressi di Agra e che tutt’oggi incanta i visitatori per la sua perfetta sintesi di stili indo-musulmani, autentico capolavoro dell’urbanistica e dell’architettura indiane. «Benché ciò che resta della Città della Vittoria sia ancora oggi stupefacente, nella mostra di Palazzo Sciarra abbiamo voluto presentare un video che presenta una ricostruzione virtuale della città e delle sue decorazioni, perché il visitatore possa rendersi conto del suo splendore all’epoca di Akbar», aggiunge il presidente della Fondazione Roma, Emanuele.

Purtroppo, le riforme sociali e religiose di Akbar furono cancellate dopo la sua morte, e i suoi discendenti Moghul perseguitarono duramente i non-musulmani all’interno dell’impero; viceversa, la passione di Akbar per l’arte e l’architettura furono ereditate dagli altri imperatori Moghul, tanto che uno di essi, Shah Jahan, avrebbe realizzato più tarri quel sogno di marmo bianco che oggi è il simbolo stesso dell’India: il Taj Mahal. L’impero dei Moghul sarebbe finito sotto i colpi dei colonizzatori inglesi, ma la gloria della cultura Moghul è giunta chiarissima fino a noi.


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