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Una grande sfida, ma non la più grande (forse)

Creato il 06 ottobre 2013 da Danemblog @danemblog
La sorveglianza di intere popolazioni, piuttosto che individui, rischia di essere la più grande sfida dei diritti umani del nostro tempo
Così Edward Snowden ha commentato l'inserimento del suo nome tra i candidati per il premio Sakharov, con cui l'Europarlamento insignisce coloro che si battono per i diritti umani e per la libertà di pensiero.
La potenza del caso Datagate sollevato proprio dalle rivelazioni dell'ex analista Cia, è immensa: così come è immenso il potenziale - negativo, come per assurdo positivo - che il Datagate nasconde. La "sorveglianza delle popolazioni", così come la definisce Snowden, nasconde tra le sue pieghe le deviazioni del potere, la subdola perpetrazione degli interessi - o del potere, appunto - sfruttando i dati spiati, il controllo delle masse, la manipolazione, l'alienazione. Tutte cose clamorosamente inerenti alla questione "diritti umani" e "libertà di pensiero"; tutte cose però, che a percezione mia sono per il momento più vicine ad un altro genere di mondo, un po' più da film e da romanzo, che reale - sebbene poi.
L'equilibrio tra privacy e sicurezza: il rischio che l'eccesso dell'una, possa limitare, fino a uccidere, l'altra. E l'altro equilibrio poi, quello di Snowden, in bilico alla Redigé tra eroe e criminale.
Non so quanto quello che l'informatico statunitense ha fatto sia pericoloso, oppure quanto sia utile - per noi, per la nostra libertà, per i nostri diritti, per la nostra vita - adesso: magari in proiezione futura invece. So, forse, che invece intorno a Snowden ci sono situazioni - attuali, attualissime - in cui la libertà di pensiero è una chimera ancora lontana, così come i diritti umani. Il riferimento non richiede esempi troppo distanti a quelli della notizia in sé: i compagni finalisti di Snowden, sono infatti tre prigionieri politici bielorussi - di quella Bielorussia dove impera quello che gli americani definiscono "l'ultimo dittatore d'Europa", quel Lucashenko che non è proprio il più tenero dei teneri con chi esprime pensieri diversi dai suoi e in genere con chi esprime pensieri. E poi c'è Malala (Yousafzai, ma ormai abbiamo imparato a chiamarla soltanto con il suo nome di battesimo), la sedicenne che si batte per i diritti umani in un mondo, il Pakistan, dove di diritti ce ne sono pochi, soprattutto per una donna; e che sconvolse l'altro mondo, il nostro, con la sua storia - ferita gravemente da uomini armati saliti a bordo dello scuolabus con cui stava tornando a casa, in nome di "è il simbolo degli infedeli e dell'oscenità” - e poi con il discorso all'Onu.
Situazioni, due per tutte - ma molte, troppe, altre ce ne sarebbero -, in cui la questione della libertà ha un sapore più basico, più elementare, più primordiale, rispetto a quello di Snowden. Là siamo ancora alla farina, all'impasto, al metter insieme un paio di ingredienti nonostante ci sia sempre qualcuno che li cambia, li ruba, li toglie dal tavolo prima di cucinarli. Qua stiamo parlando dello spessore della doratura, della croccantezza, dell'impiattamento.
(Giusto per ricordarci, insomma che, forse mi sbaglio, ma sul campo dei diritti umani c'è qualcuno che ancora oggi è messo peggio: di noi, degli americani, di Snowden).


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