Anna Lombroso per il Simplicissimus
Tra tante interpretazioni, decodificazioni aberranti: sul podio anche oggi l’ineffabile Lucia Annunziata che con toni epici si compiace di aver avuto ragione: è cominciata la terza guerra mondiale, il suo teatro è l’Europa, il posto più rischioso del mondo, tentativi dei media, che rinunciano alla funzione di informazione sul campo, delegata ai tweet dei malcapitati passanti e alle testimonianze più o meno illustri di viaggiatori in transito, politici o lobbisti, per imbracciare i mitra, mettere l’elmo e forgiare un’opinione comune sull’opportunità di vivere arroccati, nascosti come sorci, non quelli di Roma notoriamente spericolati, soprattutto nutrire sospetto e diffidenza per chiunque appaia altro da noi; tra tutto questo, dicevo, resta una certezza: i primi a pagare il prezzo di questi attentati, largamente prevedibili – se è vero che Salah Abedslam pentito li aveva annunciati, se è vero che la polizia belga, degna di dare avvio a un nuovo filone di barzellette, aveva raccolto una collezione di reperti che non lasciava dubbi sulla preparazione di altre esibizioni terroristiche – saranno quei poveri cristi in balia dei primi 2500 impiegati amministrativi per lo più belgi inviati a esercitare la loro attività di selezione dei profughi meritevoli di pelosa accoglienza in terra turca o di sbrigativo conferimento da dove sono venuti.
Loro per primi, ma anche i milioni di disperati approdati in Europa in fuga da guerre, quelle della civiltà occidentale, dalle macellerie di nemici numero 1, intermittenti a seconda di dove tira il vento dell’imperialismo Usa, ma che comunque trovano modo di accanirsi su popoli straccioni” e quindi esposti a essere oggetto di rappresaglie, rapine, sfruttamento. E poi tutti quelli che hanno resistito, cercando i quattrini per passaggi rischiosi, per pagare mercanti e negrieri e che hanno sperato di trovare spiragli di salvezza in confini sempre più serrati, scalando muri sempre più impervi, scavalcando recinti sempre più sofisticati: gli attentati del 13 novembre hanno permesso a Rubio, Bush, Clinton, Trump di pronunciarsi contro un’accoglienza “indiscriminata” e suicida, di dare “ospitalità” solo ai cristiani, di prevenire negando il rifugio ai siriani, già sottoposti a una severa discriminazione, visto che gli Usa nello scorso anno ne hanno accolti solo 168, a fronte della più drammatica emergenza umanitaria dalla seconda guerra mondiale in poi.
E in Europa ha legittimato governi conservatori o diversamente tali a chiudere le frontiere, alzare muraglie, rifiutare le sia pur vigliacche proposte di redistribuzione, in modo da accreditare definitivamente la fosca coincidenza tra profughi e terroristi, tra dolore dei civili in fuga e il fanatismo dei tagliagole.
Eppure la parola d’ordine: no, non qui, non è solo ignobile, non è solo incivile, non è solo disumana. È anche controproducente. A ogni loro esternazione la Santanchè o Salvini si mettono al servizio del sedicente Califfato, che attira e aggrega reclute da tutto il mondo offrendo una casa comune e una causa condivisa ai musulmani che si sentono emarginati e umiliati, esposti alla tentazione di cadere nella morsa letale del terrorismo, capace di attirare a sé tutti gli avviliti e offesi della nostra società in crisi delle politiche sicuritarie e liberticide messe in opera da Stati sempre più militarizzati.
Se davvero questa è la terza guerra mondiale, lo è anche perché pare fatta di tante guerre. Tra Stati veri e pseudo Stati come il Daesh, anche se tutti si sa da che mondo è mondo, sono nati da processi “artificiali” che hanno disegnato contorni e scritto principi coagulanti non sempre spontanei. Quelle nazionali e quella transnazionali. Quelle che vengono chiamate di civiltà, ma che nascondono come al solito interessi e clientele colonialiste. Guerre di religione e settarie, o legittimate come tali. Questa in gran parte originata dagli interventi militari statunitensi in Medioriente, prima e dopo l’11 settembre 2001,intensificata con gli interventi successivi, ai quali partecipano ormai Russia paesi Nato ognuno con i propri obiettivi, affonda le sue radici nella feroce rivalità fra nazioni che aspirano tutti all’egemonia regionale: Iran, Arabia saudita, Turchia, Egitto, e in un certo senso Israele – finora l’unica potenza nucleare.
Ecco basterebbe dire questo per capire che in questo tremendo gioco sono i popoli a essere esclusi, ridotti a vittime, quelli espropriati dalle colonizzazioni e dagli imperi con l’oppressione delle minoranze, le frontiere tracciate arbitrariamente, le risorse depredate, le zone di influenza oggetto di infami negoziati, i formidabili interessi generati da contratti di fornitura di armamenti. E che alimentano indirettamente e riattivano gli odi teologici secolari: gli scismi dell’Islam, lo scontro fra i monoteismi e i loro statalismi laici di risulta, che accreditano le leggi della religione, dell’anatema, dellìoscurantismo si tratti di folle violenza, di decapitazioni, di macellerie o di cancellazione di diritti di distruzione di tesori culturali, azioni solo superficialmente riconducibili al fanatismo di una parte, ma presenti il altre teologie, non ultima quella del mercato, se proliferano ugualmente altre barbarie, apparentemente più «razionali», come la «guerra dei droni» del premio Nobel per la pace, che, è ormai accertato, uccide nove civili per ogni terrorista eliminato.
La chiamano guerra nomade, indefinita, polimorfa, asimmetrica: l’effetto dirompente è che le popolazioni delle due sponde del Mediterraneo, quel grande lago dove doveva solo fiorire il doux commerce, sono ostaggi, ricattati, esposti, parimenti soldati e vittime. Mai come ora l’unica salvezza sarebbe la pace.