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Una guida agli scrittori indiani del Salone del Libro 2010

Creato il 10 maggio 2010 da Milleorienti

Sabato 8 maggio Io Donna, il settimanale femminile del Corriere della Sera, è uscito in edicola con un dossier dedicato agli scrittori Una guida agli scrittori indiani del Salone del Libro 2010indiani presenti al Salone del Libro di Torino, che si svolgerà dal 13 al 17 maggio e avrà appunto l’India come Paese Ospite. Il Salone offrirà una ricca serie di incontri con autori, letture e conferenze (il programma completo degli eventi dedicati all’India è qui). In copertina, Io Donna ha messo la bellissima Tishani Doshi (a destra), poetessa e romanziera che sarà, come tanti suoi colleghi, ospite al Salone di Torino, e che è stata intervistata da Anna Maria Speroni (l’intervista è qui). In questo “dossier India” c’è anche un mio articolo intitolato Passaggio al Lingotto – un richiamo al celebre Passaggio in India di E. M. Forster -  in cui traccio una mappa delle tendenze in cui si possono classificare gli scrittori indiani presenti a Torino. E’ chiaro che queste classificazioni sono sempre soggettive e un po’ arbitrarie, e vanno prese con un pizzico di ironia. Il gioco però mi sembra che funzioni, perciò ve lo ripropongo qui sotto in versione integrale (quella pubblicata da Io Donna è stata un pochino tagliata per ragioni di spazio). Ovviamente il mio articolo non parla proprio di “tutti” gli scrittori indiani al Salone (per esempio: non di Tishani Doshi, intervistata in altre pagine del giornale) ma può costituire una buona guida per orientarsi nel vasto mare dell’India letteraria che troveremo a Torino. Buona lettura…

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- Inferni Metropolitani –
Sognate l’India spirituale e meditativa? Scordatevela. Oggi le metropoli indiane globalizzate sono un inferno di violenza e

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Tarun Tejpal

corruzione. E l’India ha una nuova generazione di scrittori hard-boyled, cantori delle “città del peccato” come Mumbai, dove convivono i quartieri a luci rosse e le mille luci di Bollywood, gli speculatori di Borsa, gli intrighi politici e le gang criminali. Mumbai è stata la protagonista di successi internazionali come Maximum City di Suketu Mehta (Einaudi) e Giochi Sacri di Vikram Chandra (Mondadori). Ora al Salone del Libro il noir metropolitano torna protagonista di due nuovissimi romanzi: La storia dei miei assassini di Tarun Tejpal (Garzanti) e I sei sospetti di Vikas Swarup (Guanda). Entrambi gli autori sono già delle star. Tejpal (a Torino il 15 maggio) è il “Saviano indiano”, e racconta da scrittore le mafie metropolitane perché, da grande giornalista d’inchiesta, le combatte nella realtà, dalle colonne del coraggioso settimanale Tehelka da lui fondato. Quanto a Swarup (anch’egli a Torino  il 15) ha alle spalle il successo mondiale del romanzo Le dodici domande (Guanda) da cui è stato tratto il film The Millionaire, pluripremiato agli Oscar, e ora, descrivendo i “sei sospetti” di un omicidio, racconta il degrado delle città indiane.
Di un diverso inferno metropolitano parla invece Indra Sinha nel suo Animal (Neri Pozza): la morte di migliaia di persone causata da una fuga di gas tossici da un’industria chimica nella città di Bhopal, nel 1984. In questo inferno reale Indra Sinha muove il suo personaggio, Animal, così chiamato perché ridotto a camminare a quattro zampe come conseguenza dell’avvelenamento da gas. Animal ha vinto il Commonwealth Writers’ Prize e Indra Sinha, che parlerà a Torino il 13 maggio, promette di sorprenderci come ci ha sorpreso il suo libro, che nonostante il tema amarissimo usa i registri dell’ironia e dell’umorismo perché – sostiene l’autore – «per affrontare una tragedia bisogna saper ridere».

- Donne fra il sari e il jeans –
Le vedi camminare allegre, in compagnia di amiche, nelle strade di Delhi o di altre città: un giorno indossano una maglietta e un jeans e il giorno dopo, con altrettanta disinvoltura, il sari e i gioielli tradizionali. Vogliono un posto al sole nella “Shining India” del boom economico (alla faccia della crisi, l’India continua a crescere) e come le donne occidentali si barcamenano a fatica fra impegni famigliari e professionali. Aspirano alla modernità ma senza rinunciare alle tradizioni (per esempio ai matrimoni combinati, ancora molto in voga). Ma se nelle città indiane la mobilità sociale offre alle donne varie alternative, nelle campagne il peso dei ruoli tradizionali è ancora forte, la violenza sessista diffusa, i contrasti fra generi aspri.

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Anita Nair

Questi universi femminili sospesi fra tradizione e modernità hanno prodotto in India una letteratura ricchissima, che è ben rappresentata al Salone del Libro. A cominciare da Anita Nair, che dopo il successo internazionale di Cuccette per signora (Neri Pozza) presenta a Torino, il 15 maggio, L’arte di dimenticare (Guanda). Il nuovo romanzo di Nair racconta della moglie di un manager d’azienda, immersa negli agi della buona società di Bangalore (la capitale dell’hi-tech indiano, dove vive la stessa Nair), che un giorno viene improvvisamente lasciata dal marito e si trova a dover reinventare la propria vita, riflettendo sul senso dei rapporti di coppia e della famiglia.
Niente metropoli e inquietudini borghesi invece per il libro fresco di stampa di Sampat Pal Devi, che il 15 maggio presenterà a Torino Con il sari rosa (Piemme). Il titolo allude appunto ai sari rosa con cui si vestono abitualmente le militanti della Pink Gang, il movimento femminista fondato dalla stessa autrice per offrire una possibilità di liberazione alle contadine delle campagne indiane, dove  sessismo e tradizioni di dominio brutale sono ancora diffusi (compreso l’infanticidio delle femmine).

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Sampat Pal Devi e la sua Pink Gang

Il libro intreccia la storia di questo movimento femminista con la biografia dell’autrice, lei stessa nata in un villaggio, da una famiglia di umili origini.
Ma se per Sampat Pal Devi Tradizione fa troppo spesso rima con Oppressione, vi sono invece altre scrittrici indiane – urbanizzate, emancipate, colte – che si volgono quasi con nostalgia al recupero di taluni aspetti di un’antica civiltà minacciata dalla globalizzazione. E’ il caso di Radhika Jha, giornalista di Business World e dell’Hindustan Times che ha vissuto a lungo in Giappone madescrive un mondo assai lontano da quello globalizzato in cui lavora. Dopo il best seller L’odore del mondo (Neri Pozza)  Jha presenta infatti a Torino il 15 maggio una storia ambientata in un remoto villaggio di campagna. Il dono della Dea (Neri Pozza) narra di una donna che si sforza di emergere all’interno delle (apparentemente) immutabili dinamiche religiose e sociali di un villaggio indù, cercando di “utilizzare” la modernità senza rinnegare le eredità del passato, i suoi usi e costumi, la sua cultura. Un’antica cultura di cui la stessa scrittrice si sente portatrice: si esibirà infatti a Torino in una performance di una delle tradizioni artistiche più nobili dell’India, la danza classica Odissi.
Il fascino delle tradizioni culturali indiane emerge prepotente anche nel romanzo d’esordio di un’altra giornalista-scrittrice cosmopolita: Namita Devidayal (che sarà al Salone del Libro il 14 maggio). Laureata a Princeton (Usa), giornalista del Times of India, residente a Mumbai, Devidayal ne La stanza della musica (Neri Pozza) parla di un mondo ben diverso da quello in cui vive: l’universo della musica classica indiana e delle sue regole severe, dove una donna arriva a sacrificare tutto alla ricerca ossessiva della perfezione nella sua arte.
Romanzi al femminile anche molto diversi fra loro ma accomunati da un atteggiamento di ambivalente attrazione-repulsione nei confronti della Tradizione indiana: imponente, a volte gloriosa, altre volte oppressiva, comunque ineludibile.

- Le mille storie della Storia -

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Shobaa Dé

Un Paese che ha quattromila anni di Storia alle spalle, come l’India, non può non avere un ricco filone letterario dedicato al proprio monumentale passato. Il fascino della Storia indiana ha catturato, imprevedibilmente, perfino una protagonista della pop-culture globalizzata come Shobhaa Dé. Lei, regina dei più esclusivi salotti dell’India, signora del gossip televisivo, amica intima delle star di Bollywood, fondatrice di varie riviste popolarissime, invidiata (e chiacchierata) icona di bellezza,  star assoluta della letteratura “rosa” indiana (ampiamente tradotta anche in Italia: Notti di Bollywood, Sorelle, Ossessione)…. Insomma, Lei, Sua Maestà Shobhaa Dé, questa volta si cimenta con un libro insolitamente serio (almeno per i suoi standard): India Superstar (TEA). Dove intreccia le vicende della propria vita con quelle del proprio Paese dall’indipendenza ad oggi, per raccontare i successi dell’India negli ultimi sessant’anni. Al Salone di Torino, il 14 e 15 maggio, parlerà di questa sua inedita scorribanda nella Storia, che lei stessa presenta così: «E’ una lettera d’amore alla mia terra. Voglio che tutto il mondo si innamori dell’India».
A questo encomiabile proposito non aderisce invece Ambarish Satwik, che ha scelto di raccontare la Storia del dominio coloniale britannico in India da un punto di vista sicuramente insolito e non proprio gradevole: quello delle malattie al basso ventre. La Storia raccontata per mezzo della medicina, insomma, e non è un caso, visto che Satwik è un chirurgo vascolare di Delhi. Il 15 maggio al Salone del Libro presenta Il basso ventre dell’Impero (Metropoli d’Asia): non un saggio bensì una raccolta di racconti che attraversano il dominio britannico in India dal 1742 al 1948, descrivendo piaghe e malanni che afflissero i potenti dell’epoca. La malattia del corpo come metafora della malattia del colonialismo, esaminata alternando un freddo linguaggio medico-anatomico alla contestualizzazione storica. Un libro originale.
Non meno interessante il tentativo di definire cosa sia l’indianità – insomma di afferrare lo spirito di un popolo – operato dal famoso psicanalista-scrittore Sudhir Kakar, ben noto anche in Italia. Kakar presenta a Torino il 13 maggio Gli indiani. Ritratto di un popolo (Neri Pozza), in cui pesca esempi dalla Storia antica e moderna per tratteggiare l’ineffabile identità di un popolo di un miliardo e duecento milioni di persone che non è omogeneo né sul piano etnico, né sul piano linguistico né su quello religioso. Eppure si riconosce in una parola dai contorni sempre più sfuggenti: nazione.

- Neocinici –
L’India Mitica, per loro, non esiste. E’ una favoletta per occidentali istupiditi dal romanticismo. Esiste invece un’India reale fatta di

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Kiran Desai

contraddizioni stridenti, problemi irrisolti, affollate solitudini. Sono i nuovi enfant prodige della letteratura indiana di lingua inglese: giovani, cosmopoliti, raffinati, totalmente disincantati, cinici. E – sul piano letterario – bravissimi. Pluripremiati. Kiran Desai ha vinto il Booker Prize nel 2006. Aravind Adiga ha vinto il Booker Prize nel 2008. (Rivincite della Storia: sono gli indiani ormai, più che inglesi, a vincere il massimo premio letterario di lingua inglese). Altaf Tyrewala, alla sua opera prima, è già acclamato dalla critica internazionale.
Kiran Desai sarà al Salone del Libro il 14 maggio. E’ la figlia della celeberrima Anita Desai, una delle Matriarche delle letteratura indiana al femminile, ma sua madre non ha mai vinto il Booker, lei invece sì. Kiran è ormai il simbolo di una nuova generazione di scrittori: i figli che superano i genitori, gli allievi che surclassano i maestri. Kiran Desai parlerà naturalmente di Eredi della sconfitta (Adelphi), il suo capolavoro, che getta luce sul fallimento del multiculturalismo e i guasti della globalizzazione – capaci di produrre solo emarginazione sociale e scoppi di violenza – ma anche sulla assoluta fragilità dei sogni di tutti. I suoi personaggi sono accomunati da un senso di spaesamento e di perdita: dell’identità culturale, dell’amore, della speranza di un riscatto sociale. Non ci sono vincitori.
Su Aravind Adiga e sul graffiante cinismo de La tigre bianca (Einaudi) sono stati versati fiumi di inchiostro. Adiga non verrà a

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Altaf Tyrewala

Torino ma di lui si faranno pubbliche letture sia del suo libro più noto sia del nuovo romanzo Fra due omicidi (Einaudi), un’amara meditazione su un Paese che non sa darsi equilibrio sociale e che divora i propri leader. I due omicidi del titolo sono infatti quelli della premier Indira Gandhi (assassinata nel 1984) e di suo figlio, anch’egli premier, Rajiv Gandhi (assassinato nel 1991). Nel breve arco di tempo compreso fra quelle due morti si consumano le speranze dei protagonisti del romanzo e, in senso lato, degli indiani.
Quanto ad Altaf Tyrewala (che sarà a Torino il 15 maggio) si può solo dire: vorremmo che ce ne fossero di più come lui. Musulmano ma lontanissimo da ogni suggestione fondamentalista, rivela uno sguardo profondamente cosmopolita e moderno. Il suo Nessun dio in vista (Feltrinelli) è un romanzo corale su Mumbai, un mosaico di voci in cui tutti gli abitanti della metropoli indiana non fanno che inseguire illusioni e miraggi, o sfuggire (invano) alle proprie paure.
Anche qui, non ci sono vincitori. Però vince la letteratura.


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