Una Lega in mano ai veterani

Creato il 24 gennaio 2013 da Basketcaffe @basketcaffe

In una lega dove l’atletismo e il progresso tecnico e tattico dominano e dovrebbero favorire i giovani, ci sono ancora parecchie stelle che sembrano delle supernove sul punto di scomparire ma che, contro ogni logica, resistono, vincono e fanno notizia. Sicuramente la squadra “rivelazione” di questo scorcio di stagione sono i New York Knicks con l’età media più alta nella storia dell’NBA (quasi 33 anni) che grazie anche al contributo di qualche vecchietto stanno dimostrando come la carta d’identità può essere un fatto ‘mentale’ se ci sono gli stimoli giusti. Un esempio su tutti, Jason Kidd (39 anni), esanime l’anno scorso a Dallas e rinato quest’anno a New York grazie alla linfa vitale fornita da Anthony & co.

I suoi numeri sono: 8,3 punti 4,3 rimbalzi e 4,2 assist in 29 minuti in campo di media con il 41% dal campo e il 42,3 % da tre punti. Nella stessa squadra non si possono dimenticare Rasheed Wallace (38 anni), rientrato dopo due anni di inattività e ancora capace di farsi amare dal pubblico del Garden ogni volta che tocca palla; Kurt Thomas, quarantenne che riesce ancora con il suo mestiere a dare qualche minuto di qualità a Mike Woodson; Marcus Camby (38 anni) e il rookie più vecchio della storia, Pablo Prigioni, che a 35 anni sta mostrando all’NBA perché il suo pick&roll è ancora efficace.

A Est non bisogna scordare i Boston Celtics, già da anni considerati finiti eppure giunti negli scorsi playoff ad una vittoria dalle finali NBA contro i futuri campioni Miami Heat. Nonostante le recenti voci di mercato su Paul Pierce (35 anni), ‘the Captain and the Truth’ è ancora in grado di trascinare la squadra alla vittoria quando serve, come è avvenuto nella recente partita contro i Knicks (19,4 punti, 3,8 assist e 5,6 rimbalzi di media). Su Kevin Garnett non servono i numeri (pur eccellenti per un 36enne: 14,6 punti, 2,1 assist e 7 rimbalzi) per sapere che finché avrà cattiveria agonistica, bisognerà sempre fare i conti con lui. E la convocazione da parte dei tifosi nel quintetto dell’All-Star Game significa quanto la gente lo ami.

L’altra squadra di ‘vecchietti’ che continua ogni anno a sorprendere per come aggiunga giocatori, schemi e sistemi di gioco senza mai dimenticare che la baracca è ancora gestita dai Big Three, Tim Duncan (36 anni), Manu Ginobili (35 anni) e Tony Parker (30 anni), sono i San Antonio Spurs. È pur vero che nelle ultime tre stagioni nonostante ottimi record nella regular season sono usciti dai playoff in modo prematuro e sorprendente anche per mancanza di energie, Gregg Popovich però non molla e il ritorno di Stephen Jackson (34 anni) ha contribuito a renderli una mina vagante.
Duncan in particolare ha beneficiato dei trattamenti forniti dal dottor Peter Wehling in una clinica tedesca dove anche Kobe Bryant (34 anni) è stato curato per recuperare dall’infortunio al ginocchio e ne sono entrambi usciti più in forma di prima.
Kobe con una striscia di 17 partite sopra i 27 punti, è tornato fisicamente quello di qualche stagione fa, ma purtroppo per lui neanche i suoi straordinari (38 minuti, 47% dal campo e 29,9 punti di media) riescono a garantire alla sua squadra un minimo di continuità e vittorie. Al momento è impossibile valutare l’impatto di Steve Nash (39 anni tra qualche giorno): certamente il canadese in attacco tornerà ad essere il regista che era a Phoenix (da poco ha superato il traguardo di 10.000 assist in carriera), il problema è che in difesa gli anni si sentono maggiormente per uno che non è mai stato molto portato.

Quello che differenzia i giovani dai veterani è soprattutto il tempo di recupero e la velocità con cui tornano ad essere decisivi nelle rispettive squadre: vedi Dirk Nowitzki (34 anni) che fatica a Dallas (al momento ha giocato solo 13 partite); Chauncey Billups (36 anni) e Grant Hill (40 anni) a Los Angeles – sponda Clippers – hanno giocato solo 3 partite ma fortunatamente per loro non c’è fretta.
Andre Miller (36 anni) a Denver non sembra registrare il passare degli anni ma solo quello dei record (ha segnato 15,000 punti e ha dato 7,500 assist come solo altri 7 Hall of Famer).
A Miami, duole dirlo, c’è invece l’esempio che finora dimostra al contrario come un sistema di gioco non integrato, possa mettere in difficoltà anche un futuro Hall of Famer: Ray Allen (37 anni) è un corpo estraneo ai Miami Heat e al momento il suo soprannome sembra essere diventato ‘He doesn’t have the game anymore’. Ma occhio quando inizierà a fare più caldo se il suo rendimento sarà ancora questo.

In conclusione si può dire che il futuro, anche in una super lega come quella NBA, sarà dei giovani, ma il presente sembra ancora saldamente nelle mani dei veterani.


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