Ieri pomeriggio ho iniziato a scrivere un articolo gomitoloso per presentare un nuovo paio di orecchini. Mi sono sentita un peso sull’anima. Le parole non uscivano o, se uscivano, non si connettevano bene le une con le altre. Così ho rinviato alla sera.
Alla sera, lui ed io, seduti a tavola per la cena, parliamo di noi, delle nostre giornate, ma una voce bella e impostata ci ammutolisce. Gli occhi vanno verso la TV e lì, in silenzio, ascoltiamo una lettera, questa:
«Venerdì sera avete rubato la vita di una persona eccezionale, l’amore della mia vita, la madre di mio figlio, eppure non avrete il mio odio. Non so chi siete e non voglio neanche saperlo. Voi siete anime morte. Se questo Dio per il quale ciecamente uccidete ci ha fatti a sua immagine, ogni pallottola nel corpo di mia moglie sarà stata una ferita nel suo cuore. Perciò non vi farò il regalo di odiarvi. Sarebbe cedere alla stessa ignoranza che ha fatto di voi quello che siete. Voi vorreste che io avessi paura, che guardassi i miei concittadini con diffidenza, che sacrificassi la mia libertà per la sicurezza. Ma la vostra è una battaglia persa.