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Una lettera pubblicata tardivamente

Da Suddegenere

Signor presidente della Repubblica, chi le scrive è una giovane madre, disperata, allo stremo di tutte le proprie forze, psichiche e mentali….”

Inizia cosi’ la lettera di Lea Garofalo scritta nell’aprile 2009, un mese prima del suo tentato rapimento a Campobasso, inviata a vari giornali nazionali e mai pubblicata, prima di oggi.

E’ la lettera accorata di una donna che non ha mai avuto una vita facile. Di una donna che aveva conosciuto solo in fotografia il padre, assassinato pochi mesi dopo la sua nascita e del quale si era fatta tatuare l’iniziale sulla mano, per averne un ricordo tangibile sotto gli occhi, sempre. Di una donna che aveva trovato il coraggio di rompere con la propria famiglia e di denunciare molte persone, compreso il fratello Floriano e l’ex convivente Carlo Cosco; ma che per la legge figurava come  collaboratrice di giustizia nonostante di reati non ne avesse mai commessi, e questa cosa era per lei assolutamente inaccettabile, le toglieva quella dignità in nome della quale aveva affermato  la propria distanza dalla ‘ndrangheta recandosi il 13 luglio 2002  presso la caserma dei carabinieri di Petilia Policastro, per rendere dichiarazioni su reati commessi  anche dai familiari, stravolgendo la sua vita e quella di sua figlia. In nome della dignità e dell’amore per la figlia.  “Sono una donna che si è presa sempre le proprie responsabilità-scrive-Cercando di riniziare una vita all’insegna della legalità e della giustizia con mia figlia.Dopo numerose minacce psichiche, verbali e mentali, decido di denunciare tutti.”

Lea Garofalo nella sua lettera  lamenta l’assoluta “mancanza di tutela da parte di taluni liberi professionisti” come il suo avvocato, che peraltro non risponde neppure al telefono ;e lamenta le modalità del programma di protezione che violano i diritti sanciti dalle leggi europee. Lea si sente tradita e ingannata prima ancora che dalla vita, dalla Giustizia e dalla Legge, per come viene  regolamentata e applicata. Legge alla quale aveva affidato completamente la sua vita e quella di sua figlia. Si sente, ed è, sola.

E’ stato ricordato piu’ volte da parte dei “tutori” della giustizia e le forze dell’ordine, quasi come a dire “non è colpa nostra e niente avremmo potuto fare”, che la Garofalo rinuncio’ spontaneamente alla Protezione. Il 9 aprile 2009, ad esempio, rinuncio’ al programma di protezione.Del 7 maggio 2009 è il tentato rapimento a Campobasso, in seguito al quale Lea ritorno’ sotto protezione ma il 12 maggio decise di rinunciarvi di nuovo. Il 25 novembre La sorella Marisa ne denuncio’ la scomparsa. Ci si è interrogati in maniera etica, piu’ che formale, circa le motivazioni di tali “rinunce”? Puo’ considerarsi una rinuncia “spontanea” se nasce da un profondo senso di scoramento e disillusione? Se le dichiarazioni da lei rese non avevano prodotto nessuna conseguenza degna di rilievo sul piano della giustizia, ed il programma di protezione le toglieva il fiato?(n.b.  Il programma di protezione nel 2006 le era stato revocato perchè una sentenza del Tar del Lazio aveva sostenuto che “le dichiarazioni di Lea Garofalo non avevano trovato autonomo sbocco processuale e l’uccisione del fratello Floriano era stata ritenuta estranea alla collaborazione”)

“….

Oggi mi ritrovo, assieme a mia figlia isolate da tutto e da tutti, ho perso tutto, la mia famiglia, ho perso il mio lavoro (anche se precario) ho perso la casa, ho perso i miei innumerevoli amici, ho perso ogni aspettativa di future, ma questo lo avevo messo in conto, sapevo a cosa andavo incontro facendo una scelta simile.Quello che non avevo messo in conto e che assolutamente non immaginavo, e non solo perchè sono una povera ignorante con a mala pena un attestato di licenza media inferiore, ma perchè pensavo sinceramente che denunciare fosse l’unico modo per pore fine agli innumerevoli soprusi e probabilmente a far tornare sui propri passi qualche povero disgraziato sinceramente,non so neanche da dove mi viene questo spirito, o forse si, visti i tristi precedenti  di cause perse ingiustamente da parte dei miei familiari …….

Oggi e dopo tutti i precedenti mi chiedo ancora come ho potuto anche solo pensare che in Italia possa realmente esistere qualcosa di simile alla giustizia

Eppure sarà che la storia si ripete o che la genetica non cambia ho ripetuto e sto ripetendo passo dopo passo quello che nella mia famiglia è già successo, e sa qual’è la cosa peggiore?La cosa peggiore è che conosco già il destino che mi aspetta, dopo essere stata colpita negli interessi materiali e affettivi arriverà la morte! Inaspettata, indegna e inesorabile e soprattutto senza alcuna soddisfazione per qualche mio familiare

Ora con questa mia lettera vorrei presuntosamente cambiare il corso della mia triste storia..

Vorrei signor Presidente che con questa mia richiesta di aiuto lei rispondesse alle decine, se non centinaia di persone oltre a me che oggi si trovano nella mia stessa situazione.Ora non so sinceramente quanti di noi non abbiano mai commesso alcun reato e dopo aver denunciato diversi atti criminali si sono ritrovati catalogati come collaboratori di giustizia e quindi appartenenti a quella nota fascia di infami, cosi’ comunemente chiamati in Italia, piuttosto che testimoni  di atti criminali, perchè le posso assicurare, in quanto vissuto personalmente che esistono persone che nonostante essere in mezzo a situazioni del genere riescono a non farsi compromettere in nessun modo e ad aver  saputo dare con dignità e speranza oltre che giustizia alla loro esistenza.Lei oggi signor Presidente puo’ cambiare il corso della storia….

Se qualche avvocato legge questo articolo e volesse perseguire un’ideale di giustizia accontentandosi della retribuzione del patrocinio gratuito e avendo in cambio tante soddisfazioni e un’immensa gratitudine da parte di una giovane madre che crede ancora in qualcosa di vagamente reale, oggi giorno in questo paese si faccia avanti, ho bisogno di aiuto, qualcuno ci aiuti. Please!

Una giovane madre disperata !!

””

Questo scriveva Lea Garofalo, chiedeva aiuto. Anzi la voleva urlare al mondo la sua rabbia, il suo senso di impotenza, la sua paura, il coraggio della sua scelta, la sua dignità, pensando e sperando di “poter cambiare presuntuosamente il corso della sua storia”….

Lea Garofalo è stata ammazzata in un magazzino alla periferia di Milano. Per quanto risulta dalle dichiarazioni di pentiti di ‘ndrangheta è stata:legata, imbavagliata, interrogata brutalmente, torturata, uccisa con un colpo di pistola alla nuca e sciolta nell’acido. Dal suo ex compagno, dal padre di sua figlia.

Su Lea Garofalo leggi anche Scomparse e Donne delSud

pagina 5 del Quotidiano della Calabria del 2 dicembre 2010:

Una lettera pubblicata tardivamente.



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