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Una lettera su una lettera a un direttore

Creato il 05 febbraio 2012 da Lucas

Càpitaspesso che un direttore di giornale, nella sua rubrica di Lettereal direttore, estragga una missiva che gli consenta di risponderebrevemente, con una sola frase “liquidatoria”, vuoi per accogliereo acconsentire, oppure per replicare o rifiutare il commento dellettore o della lettrice.Èquello che accade oggi a Marco Tarquinio, direttore di Avvenire.
Eppure,nel leggere la lettera della signora, madre quarantaquattrenne di Alzano Lombardo,mi sono accorto che, ad aver avuto voglia, qualcosina in più cisarebbe stato da rispondere, fosse stato solo per dare maggioresoddisfazione alla fedele lettrice.Èuna lettera toccante. Nel senso che io mi sono toccato, perscaramanzia, per scongiurare di non cadere folgorato sulla viadell'aborto come la signora. Certo non sono una donna e quindi chiedovenia se, forse, parlo a sproposito. Ma il punto non è l'aborto,ma la mentalità che c'è dietro tale conversione, ostinata epervicace proprio come quella di Saul detto Paolo.Succedea (quasi) tutti nella vita di cambiare opinione, idea, magari anchefede. Non vedo in questo, necessariamente, una debolezza, ma una forza delgenere umano. Chi è che diceva che «la coerenza è la virtù degliimbecilli»? Eugenio Scalfari, mi pare. Ma a parte questo, quello chedà noia, fastidio, irritazione in questi “legittimi” cambiamentidi paradigma, è il fatto che il convertito, dopo, solitamente, va arompere i coglioni a quelli che non la pensano come lui; di più:diventa un paladino della nuova fede anche più di coloro che talefede già ce l'avevano, facendo addirittura a gara con essi a chi credemeglio, a chi è più puro e vicino ai principi del credo a cui si è votato.Èquello che succede manifestamente alla signora, la quale non si accontentadi riportare la sua testimonianza di penitente e convertita (sullavia della consultorio); macché, oltre a far il suo mea culpa, mea culpa,mea maxima culpa, lancia i suoi strali verso quelle donne che nonsono state visitate dal Signore e che abortiscono – a suo dire –a cuor leggero, come se fosse una prassi simile a un clistere.
«Il mio pensiero va a tante persone "normali" come me, che nella loro normalità sono capaci di compiere un gesto così; quante ragazze, donne, capaci di farsi del male. La mia storia, forse, racconta che il dramma dell’aborto volontario non riguarda soltanto situazioni estreme o di emarginazione. C’è chi rifiuta la vita perché non riesce ad accogliere e condividere la propria. A fidarsi della vita.»
Ripeto:non contesto e non impedisco alla signora di pensare che abortire sia un male e un peccato;trovo però inopportuno che, per sentirsi sollevata dal senso dicolpa dovuto al suo nuovo modo di pensare, ella tenda a mettere ildito negli occhi di coloro che la pensano diversamente. A far pesare alle altre donne il loro egoismo, a dir loro, presuntuosamente, che rifiutano la vita in quanto incapaci di accettare la propria. Ma scusi signora, pensi per sé, alla sua di felicità, e lasci in pace gli altri e le altre infelici come sono.
Ecco, il mio - più che altro - era uno sfogo contro la risposta struggente del direttore di Avvenire:
«Le dico grazie per ogni giovane donna e, da padre, per ogni giovane uomo che incontrerà le sue parole.»
Bene, pur non essendo giovane giovane, ma da padre che “ha incontrato” le parole della signora, le posso dire, signor direttore, vaffanculo?
P.S.C'è un punto in cui la signora scrive:
«Oggi a distanza di anni, tanta sofferenza ha trovato un po’ di pace, anche se le prove della vita ci sono sempre, come per tutti. Dio Padre misericordioso nella sua grande bontà ha saputo guardare il mio cuore, senza abbandonarmi, e ha voluto donarmi la grazia di una famiglia e due meravigliosi figli.»
E mi viene un fondato sospetto sul perché non abbia nominato il marito.

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