Una lezione da Francis Scott Fitzgerald

Da Marcofre

La lezione in questione arriva dal libro “Belli e Dannati” (di cui ho parlato in un post precedente) e ricorre nelle ultime pagine.
Siccome occorre re-imparare a leggere, e questo “processo” non ha mai fine, non ho affatto notato quello che sto per svelare. Me ne sono accorto dopo, leggendo l’introduzione (che di solito salto).
No, non è il segreto che vi farà entrare a Segrate in pompa magna.

No, nemmeno vi farà accedere alla mail personale del più ambito editor di questa parte del globo. La faccenda però è interessante, e come ho appena spiegato non ha quell’utilità pratica che tu, o lettore, auspichi. Adesso provo a illustrare.
Abbiamo la protagonista femminile, Gloria. Bella, c’è bisogno di scriverlo o ribadirlo? Non fa niente, in un certo senso gestisce la sua bellezza, ritiene insomma che il suo solo scopo nella vita sia quello.

Proteggere la propria bellezza.
Senza svelare il finale, immagino che Scott Fitzgerald abbia desiderato rendere evidente agli occhi del lettore una “evoluzione” di questa bellezza (che non lo è affatto, però non voglio spiegare nel dettaglio il perché o cosa).

Qui abbiamo a mio parere un’intuizione di questo gigantesco scrittore: anziché scrivere o descrivere cosa ti combina?

Semplice: cede la parola (se così si può dire) a due passeggeri del piroscafo, sbucati d’un tratto sul ponte della nave. Un ragazzo e una ragazza che vedono e parlano tra di loro. Mi rendo conto che forse non è niente di speciale, magari scorgo cose che non ci sono. Scott Fitzgerald per qualche riga, sposta lo sguardo su due estranei, fa esprimere a loro il giudizio su quella bellezza. Li presenta, e li lascia parlare, poche battute; in modo che possano emettere un giudizio su quella donna meravigliosa.

Intuizione geniale?
Grande tecnica (che vedremo al massimo della sua potenza ne “Il Grande Gatsby”?).
Non so rispondere.

Di certo ha i numeri per essere considerata una mossa semplice, piccola, che passa inosservata. È anche rischiosa perché si trova verso la fine del romanzo, e il rischio che anche il lettore più attento (non io), nemmeno se ne renda conto, esiste eccome. Ma chi scrive ama rischiare, soprattutto adora “nascondere” certe perle dove uno meno si aspetta di trovarle. Sa che forse verrà notata da un lettore su un milione: non importa.

C’è anche un’altra spiegazione: Scott Fitzgerald ha scritto quello che a me appare una mossa geniale senza nemmeno rendersene conto. Poiché spesso i lettori vedono più di quel che c’è. Scorgono significati e sensi reconditi dove l’autore ha scritto senza troppo impegno, senza nemmeno rifletterci troppo. Capita.
Ma la mia idea è che quel “spostamento” sia a dir poco azzeccato.

Umile, ma capace di una forza sorprendente.


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