Sabato mattina. Tazza di the, brioche scongelata al microonde e un leggero istinto omicida nei confronti del mio panettiere di fiducia che da qualche tempo in qua pare abbia preso il vizio di far raffreddare pane e briochine varie in un telo intriso di ammorbidente. Morale: sto pasteggiando con aromi misti sta cannella e Coccolino. Agghiacciante.
Devo decidermi a cambiare panettiere.
Sarà l’effetto allucinogeno del sapor di Coccolino, ma mi ritrovo a pensare a come questo blog sia cambiato da quando l’ho aperto, ormai più di due anni fa. Ovvero: il blog è cambiato perché è lo specchio di chi lo scrive.
C’è però un post che mi coccolo (è il Coccolino che ho in bocca che torna anche nelle parole…) e che mi è molto caro. Che mi rappresentava e che mi rappresenta tuttora: è il primo, quello col quale Scribacchina si è materializzata e ha iniziato a questa piccola avventura telematica.
In quel post c’era solo una citazione da Il fu Mattia Pascal, straordinaria opera di Pirandello (se avete tempo da investire, leggetelo perché ne vale davvero la pena). La riscrivo qui non per farne un banale doppione ma per ribadire la sua eccezionale attualità. Non solo per me: credo che chiunque ci si possa ritrovare.
À bientôt, soliti lettori.
«Non è forse vero che mai l’uomo tanto appassionatamente ragiona (o sragiona, che è lo stesso), come quando soffre, perché appunto delle sue sofferenze vuol veder la radice, e chi gliele ha date, e se e quanto sia stato giusto il dargliele; mentre, quando gode, si piglia il godimento e non ragiona, come se il godere fosse suo diritto?
Dovere delle bestie è il soffrire senza ragionare. Chi soffre e ragiona (appunto perché soffre), per quei signori critici non è umano; perché pare che, chi soffra, debba esser soltanto bestia, e che soltanto quando sia bestia, sia per essi umano».