Intasati come ormai siamo da decenni di polizieschi di ogni tipo, non è facile trovare lampi di originalità in grado di farti fare i balzi sulla sedia. È accaduto di recente con True Detective (Stagione 1) e The Fall (Stagioni 1 e 2), e pure con Fargo (Stagioni 1 e 2), sebbene quest'ultimo non abbia proprio i connotati del poliziesco classico, ma nella messe di serie tv ormai disponibili è sempre comunque difficile ritrovarsi a bocca aperta a gridare al miracolo. Insomma, bisogna cercare con cura e dedizione, perché delle cose davvero toste ogni tanto emergono ed è ancora più bello quando si scoprono piccole produzioni, quasi di nicchia, al di fuori dei fenomeni acclamati globalmente. Se poi ti emozionano tremendamente, cosa puoi volere di più? È questo il caso di River.
Miniserie di soli 6 episodi di produzione BBC mandata in onda nell'autunno 2015 (da non confondere con The River, serie americana soprannaturale di scarsa fortuna), River trae il suo nome dal protagonista impersonato da Stellan Skarsgård, attore svedese dalla filmografia impressionante, spesso presente nelle produzioni di Lars Von Trier, che qui si cala magistralmente nei panni di un poliziotto molto capace (ha l'80% dei casi risolti), ma con problemi psichici piuttosto seri che tenta di nascondere sotto il tappeto almeno con i colleghi, in quanto minerebbero la sua credibilità e, dunque, la possibilità di conservare il suo posto di lavoro. Attenzione però, non siamo dalle parti di Monk. I problemi di River non sono ossessivo-compulsivi, di autismo o altro. River non è un fenomeno. Tutt'altro. River è un personaggio grigio, silenzioso, dimesso, triste, un individuo qualunque che si è costruito una corazza e un modo tutto suo per difendersi da un mondo col quale ha difficoltà a rapportarsi.
Non vi voglio dire nello specifico di che cosa si tratta, perché vi toglierei l'incredibile sorpresa dei primi cinque minuti della prima puntata, ma vi posso dire, senza svelarvi nulla, che è qualcosa legato alla solitudine. Dunque è qualcosa di terribilmente umano, anche se trova il suo lampo di genialità nel suo risvolto solo in apparenza non-umano... (non chiedetemi di più). Perché in ultima analisi il vero problema di River è la sua difficoltà a comunicare le sue emozioni, a fare i conti con i suoi fantasmi, a riuscire a mettersi in contatto con chi, nel profondo di se stesso, sa di amare più di ogni altra cosa al mondo. River è uno dei personaggi più dolorosi e tormentati, ma nel contempo più emozionanti e veri e umani che mi sia mai capitato di incontrare in un poliziesco televisivo. Fin dalla prima puntata River ti si appiccica addosso e non lo riesci a scrollare più via (né vuoi farlo), fino all'apoteosi dell'ultima puntata dove - vi avverto - è meglio tenere a portata di mano un bel pacco di fazzoletti. Alla fine, mentre ancora tirerete su col naso e scorreranno i titoli di coda, vi ritroverete in piedi ad applaudire, applaudire il personaggio, gli attori (Skarsgård in testa, magistrale, ma anche gli altri sono all'altezza), gli sceneggiatori, i registi, il creatore della serie e tutti quanti hanno contribuito a realizzare quello che è - di fatto - un piccolo gioiellino che non dovete perdervi. Poi spegnerete la TV e vi accorgerete che River sarà ancora lì con voi.
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