Una mamma inutile. La responsabilità dei genitori nel rapporto tra genitori e figli

Da Jessi

Il bambino è competente

Qualche mese fa, uscendo dal nido, una mamma ha fatto cadere alcuni dei pacchi che aveva ammassati sul braccio e fermandosi a raccoglierli, un po’ ridendo, ha detto “Che mamma inutile sono!”

Scherzava, ma quell’aggettivo mi ha molto colpita, quel sintagma insolito, quasi un ossimoro, mi si è stampato in testa e non mi lascia.

“Inutile”,  forse l’aggettivo che meno ci di aspetta dicendo ‘mamma’.

Eppure è lì, forse, in quell’aggettivo il timore profondo di ogni genitore. E sempre lì, forse, la presunzione massima del genitore: non essere inutile per il fatto di averti messo al mondo e ‘accudito’.

Allora mi sono chiesta se davvero sia un nesso così remoto da poterlo trascurare, o negare, oppure se non potrebbe essere l’insidia in cui cadiamo proprio perché la neghiamo a priori.

Mi sono chiesta perché un figlio, una figlia potrebbe trovate inutile un genitore. O perché un genitore potrebbe sentirsi inutile.

Penso che sarei inutile non riuscissi a difendere mia figlia. Se fossi stata presente al suo dolore senza poi aiutarla a capirlo e difendersene.

Se lei dovesse difendermi dal suo dolore.

Se pensassi di avere sempre una risposta alle sue domande.

Mi sentirei inutile se riuscissi solo a proteggerti senza insegnarti a difenderti.

Se non ti ascoltassi.

Se pensassi di avere tutto da insegnare e nulla da imparare. Se pensassi che non sbaglio mai. Se credessi che quello che vale per me vale anche per te. Se non ascoltassi le tue paure, ma fossi solo pronta a giudicarle.

Se ridessi quando sbagli una parola o cadi.

Mi sentirei inutile se non sapessi accogliere il tuo pianto e ti dicessi sempre e solo “Non piangere”. Se non sapessi acccogliere la tua rabbia e ti dicessi  solo “Non far piangere la mamma”.

Se ti facessi sentire in colpa perché sei “Troppo brava”, o perché non lo sei.

Mi sentirei inutile se non sapessi allenarti, in qualche modo, a rispondere alle paure con la forza, al dubbio con la curiosità, all’incertezza con il fare e il creare.

Se non ti spingessi a coltivare quello che sei e i doni che hai. Se volessi vestirti solo di blu, farti crescere perbene, senza chiederti mai cosa vuoi tu.

Se giudicassi ogni cosa, ogni persona senza lasciarti il tempo di pensare da sola.

Se pensassi che devi diventare perfetta e non fare mai errori.

Se ti dicessi “Sei troppo…” invece di guardarti essere.

Se soffrissi perché mi dicono che sei brava.

Se chiudessi gli occhi davanti ad un tuo dolore, una tua debolezza, un tuo cambiamento pur di continuare a vederti come voglio che tu sia e non come sei davvero.

Questa lista al contrario, questa lista di ciò che non vorrei mai, ma di ciò che potrebbe a volte anche succedere, perché si sbaglia anche quando non lo si vorrebbe, mi ha fatto ripensare alle parole che J. Juul dice in questo bellissimo video:

“‘Ascolta, ho fatto questo e questo, non avrei dovuto, ho sbagliato‘. Quindi, come dire, essere un genitore non significa essere perfetti, non significa fare sempre la cosa giusta in ogni occasione. Essere un genitore significa essere responsabili delle proprie azioni.

Jesper Juul — Contemporary Values (video con sottotitoli in italiano)

Link:

La pratica della pari dignità, Jasper Juul (pdf)

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