Suona la sveglia, come tutte le mattine, e all’improvviso mi accorgo che mi è piombato addosso l’ultimo giorno di scuola, che poi quest’anno è anche l’ultimo giorno del triennio il che significa che l’ennesima “mitica” terza C sta per andarsene.
In classe, poco prima che inizi lo spettacolo previsto per le undici, sullo schermo della lavagna sfilano le foto dei ragazzi accompagnate da una musica struggente (c’è sempre qualcuno che si prende la briga di organizzare una serie di slide strappalacrime), intorno ho solo volti sorridenti e occhi lucidi e le risate un po’ forzate di chi non ha il coraggio di ammettere la propria commozione.
Ma un po’ di commozione, mischiata con una sottile paura per l’esame, la provano tutti, anche i più “duri e puri”, perché tre anni insieme non passano senza lasciare il segno.
Anch’io sono un po’ commossa all’idea di non trovarmi più davanti la ragazzina dai capelli rossi, la bruna con gli occhi assassini, la piccolina tutto pepe, quello più lungo che largo, quello tutto ossa, quello più largo che lungo, quello dolcissimo e sensibile, quello che non studia neanche sotto tortura, i due profughi (per amore?) nella classe vicina, quella silenziosissima e quella che non tace mai, quella sempre sorridente (per fare onore al suo nome) e “l’imperatrice” delle presentazioni e la ragazza che vive in simbiosi con il suo computer e il ragazzo che è cresciuto “dentro” ed è inaspettatamente maturato, la ragazzina col sorriso più radioso del mondo e quella con la timidezza più intrigante, la ragazzina che sogna lo spazio e la ragazza che si sente già grande e quella che ha negli occhi una saggezza antica e una libertà nuova e l’ultimo arrivato che, in questo gruppo così affiatato, si è sentito subito a casa propria e la dolcissima piccola principessa venuta dall’est.
Così uguali e così diversi sono cresciuti, ciascuno con i propri tempi, i propri talenti e la propria personalità ed ora sono pronti a spiccare il volo.
E io resto qui, testimone del loro passaggio.